Crisi d'impresa

Accesso al sovraindebitamento: la sorte degli atti dispositivi in frode ai creditori

Analisi critica sui profili di inammissibilità, diniego di omologa, revoca ed esdebitazione alla luce della novella di cui alla Legge n. 176/2020

contabilitaL’articolo, suddiviso in due distinte sezioni, ripercorrendo l’evoluzione normativa, giusta L. 176.2020, che ha interessato in generale la disciplina del sovraindebitamento e, in particolare la sezione sulla liquidazione del patrimonio ed i suoi aspetti peculiari, esamina, ai fini dell’accesso alla procedura prescritta ex art. 14 ter, preliminarmente il concetto di atti in frode nelle distinte procedure concorsuali, maggiori e minori e, nel merito la legittimità della messa in pristino volontaria da parte del debitore degli atti dispositivi compiuti in pregiudizio dei creditori. Gli autori cercano di offrire un quadro dei possibili scenari nelle distinte fasi della procedura dirimendo le questioni di inammissibilità, diniego di omologa, revoca ed esdebitazione ed un eventuale contrasto con la legittimazione del Liquidatore ad esercitare l’azione Pauliana.

Sommario

  1. La disposizione normativa ante L. 176/2020
  2. La riforma e conseguente abrogazione art. 14 – quinquies L.3/2012
  3. Il concetto di atti in frode ed atti dispositivi nelle procedure concorsuali volontarie minori e maggiori
  4. La legittimazione del Liquidatore alla instaurazione della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.
  5. Il giudizio di merito del Gestore della Crisi e del Giudice. Diniego di omologa, revoca e mancata esdebitazione
  6. Conclusioni

1. La disposizione normativa ante L. 176/2020

Nella formulazione della Legge 3/2012 vigente a data antecedente la novella richiamata, il combinato disposto di cui agli artt. 14 – quinquies e decies, da un lato precludeva, quasi in rito, l’accesso al debitore sovraindebitato non meritevole, reo di un qualche atto frodatorio sui generis, che avesse formulato istanza di liquidazione del patrimonio e, dall’altro, delineava l’ambito applicativo delle azioni consentite al Liquidatore una volta omologato il piano de quo. Difatti, legittimando il Liquidatore a compiere esclusivamente gli atti diretti ad una “azione […] finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare ed […] altresì esercitare – quelle - […] volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione”, il decreto di apertura – rectius omologa – sarebbe occorso solo a seguito di una puntuale verifica della assenza di atti in frode compiuti dal debitore “negli ultimi cinque anni”.

Puntuale e significativa emergeva una recente pronuncia del Tribunale di Milano (decreto del 18 giugno 2020) che rigettava la domanda di apertura della procedura di liquidazione dei beni, evidenziando un atto del debitore quale posto e compiuto in frode ai creditori (ai sensi dell'art. 14 quinquies l. n. 3 del 2012). Peraltro, tale pronuncia risultava come la naturale consecuzione di una serie di provvedimenti che avevano delineato alcuni tratti distintivi dell’atto fraudolento nel sovraindebitamento. Vale la pena evidenziare, in tal senso, che il Tribunale di Benevento con decreto del 23 aprile 2019) sanciva che “l'atto in frode (…) non si identificherebbe con il mero atto pregiudizievole, ma richiederebbe il suddetto quid pluris del carattere fraudolento, come innanzi decifrato, della disposizione patrimoniale” (Portinaro D. La liquidazione del patrimonio e il compimento di atti di frode).

Dunque, senza anticipare quanto infra delineato sulla novella e sul potenziale caso specifico, a parere di chi scrive, la motivazione del diniego non era da ravvisare in un giudizio di merito, bensì nella impossibilità, giusto il limitato ambito operativo concesso al liquidatore di porre in essere una qualsivoglia azione riparatoria dell’eventuale atto in frode posto in essere dal debitore (Cardinale E. Il sovraindebitamento civile e del consumatore).

Difatti, la sola verifica ex se, sin dall’inizio, ai più sembrava norma monca, o quantomeno incompleta, per statuire in rito una generale inammissibilità all’accesso alle procedure, bensì, ex post, ben si può ravvisare un naturale coordinamento, oggi ben chiaro, con la disposizione dell’art 14 ter – decies che precludeva la possibilità al Liquidatore di ovviare, nei limiti, all’eventuale atto in frode de quo.

2. La riforma e conseguente abrogazione art. 14 – quinquies L.3/2012

Con l'ultima modifica della disciplina occorsa con la conversione in legge, con modificazioni, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 mediante la L. 176/2020, la procedura di liquidazione del patrimonio, debitamente omologata, ha aperto le porte alla legittimazione al liquidatore a promuovere l'actio Pauliana. Il Liquidatore medesimo, dunque, avrà l’onere di intraprendere qualsivoglia azione giudiziale, previa autorizzazione del giudice. Come accennato nel paragrafo precedente, sembra pacifico che la statuizione espressa volta ad esperire la azione revocatoria ordinaria causi la abrogazione, maldestramente, nostro malgrado, solo implicita, della verifica degli atti in frode quale condicio sine qua non per l'apertura della procedura (Cesare F. La meritevolezza nel sovraindebitamento, rischi di involuzione).

Alla luce della disposizione civilistica, all’uopo “prestata” alla procedura concorsuale minore, l’azione presenta quale prodromo e presupposto un atto dispositivo in frode, doloso e scientemente lesivo delle ragioni creditizie. Suddetta azione, segnatamente presente nel nostro codice civile, ai sensi dell’art. 2901, è trasposta ed inserita nel novellato art. 7 comma 2 d-quater che nega, quasi in rito, l'apertura di una procedura di sovraindebitamento esclusivamente nei casi di accesso all'accordo di composizione della crisi allorquando occorrano dalle risultanze prove di atti compiuti dal debitore diretti a ledere la pletora creditoria. La stesura della novella, in tal guisa, sembra essere più consona finanche all’esprit de loi, giusta condizione che l'accordo ex art. 6 si stagli quale rimedio concorsuale alternativo alla liquidazione ex art. 14 ter e, dunque, qualora ricorrano gli estremi per esperire una qualsivoglia azione, finanche potenziale, volta alla dichiarazione di inefficacia di uno o più atti asseritamente compiuti in frode dal debitore (Paganini A. Interesse ad agire nella revocatoria : " crepe " nella teoria anti-indennitaria) al quinquennio, risulta obbligatorio perseguire la sola via della liquidazione del patrimonio.

Dunque, appare condivisibile concludere nel senso di statuire che, ponendo alla mente la novella normativa, il compimento di atti fraudolenti (Burigo F. Il piano attestato di risanamento: uno strumento di risoluzione della crisi finanziaria d’impresa tuttora efficace) sia aprioristicamente ostativo, oltre che per il piano, altresì per l'apertura dell'accordo di composizione della crisi e non già per l’accesso alla liquidazione del patrimonio, stante che solo con quest’ultima il Liquidatore possa far valere le ragioni di cui alla Actio Pauliana. Va da sé che la reminiscenza di cui all’art. 14-quinquies, grottescamente lasciato invariato e non modificato ovvero abrogato de plano, debba essere considerato quale mera incongruenza, l’ennesima, della L. 3/2012.

Volendo fornire uno sguardo d’ampio respiro nel panorama nazionale dei “practitioners”, si evidenzia come la maggior parte della dottrina si sia esposta, come gli autori del presente, nel senso di ritenere che la novella abbia sancito un effetto sostanzialmente abrogativo del requisito della meritevolezza (vedasi per tutti, Modica, Effetti esdebitativi (nella nuova disciplina del sovraindebitamento) e favor creditoris; De Matteis, L'interesse del debitore all'esdebitazione; Limitone, Sovraindebitamento: requisito della meritevolezza e sproporzione del debito; Cesare, “L’atto in frode non frena la liquidazione del patrimonio”, Il Sole 24 Ore, 20.12.2020) e come detta tesi abbia trovato appoggio nella recente giurisprudenza di merito (Trib. Lecco 16 gennaio 2021).

Non mancano naturalmente opinioni contrarie da parte di coloro che concludono nell’accezione che le modifiche abbiano, in verità, meglio delineato i limiti ed i requisiti di un presupposto tuttora imprescindibile per le procedure di sovraindebitamento (D'Orazio, Il nuovo appeal delle procedure di sovraindebitamento nella riforma in itinere; Ghedini Rusotto, La meritevolezza del debitore: ieri, oggi e domani).

Altri (Nigro, “Gli atti in frode nell’accordo di ristrutturazione e nella liquidazione del patrimonio) hanno inoltre osservato come il perimetro degli atti di frode appaia più ampio dei soli atti revocabili ex art. 2901 c.c., giungendo a ricomprendere anche le ipotesi penalmente rilevanti di bancarotta.

Appare però difficilmente contestabile come la testi dell’abrogazione, pur implicita, dell’art.14-quinquies sia maggiormente coerente con la finalità dell’istituto della liquidazione del patrimonio, individuabile, quantomeno dal lato del creditore, nell’esigenza di ottenere dal patrimonio del debitore una valorizzazione adeguata e non ostacolata da iniziative individuali.

E d’altronde, una volta che il debitore ha offerto il proprio patrimonio e che è possibile l’esercizio di azioni recuperatorie, cosa può essere chiesto di diverso? Impedire l’accesso alla procedura ad un soggetto non fallibile equivarrebbe, infatti, a legittimare l’aggressione frammentata e incondizionata sugli stessi beni, con scarsi benefici per la platea dei creditori del sovraindebitato.

3. Il concetto di atti in frode ed atti dispositivi nelle procedure concorsuali volontarie minori e maggiori

La esposizione della presente sezione appare opportuno debba correr su due binari, l’uno civilistico, sviscerando i tratti salienti della canonica revocatoria ordinaria, l’altro concorsuale, verificando se il legislatore, più o meno implicitamente, abbia voluto o meno ricondurre l’ambito applicativo della novellata norma a quanto statuito nella disciplina concordataria o, più latamente, fallimentare.

Gli autori, dunque, cercano di indagare su quale sia la effettiva portata della legittimazione del Liquidatore, se, in effetti, possa agire alla stregua di un curatore fallimentare ovvero se la indicazione di cui al richiamo nella L. 3/2012 sugli “atti dispositivi ed atti in frode” debba essere contemperata con la volontarietà della procedura, pur liquidatoria e, perciò ricondotta, ad una sfera come quella concordataria.

Preliminarmente, risulta opportuno dirimere le caratteristiche generali della disposizione civilistica di cui alla Actio Pauliana. Le condizioni che governano l'azione revocatoria ordinaria sono, da un lato, l’occorrenza che effettivamente l'atto impugnato abbia comportato un qualche pregiudizio nei confronti dei creditori, avendo interessato, a qualsiasi titolo, il patrimonio del debitore e, dall'altro, la consapevolezza di quest’ultimo di arrecare il pregiudizio di cui sopra alla pletora creditorum con il compimento dell'atto de quo. Onde contemperare gli interessi in gioco, a tutela dei diritti e eventualmente acquisiti medio tempore “in buona fede” dal terzo, è anche necessario provare la di questi consapevolezza di frodare o, comunque, ledere i diritti dei creditori del dante causa. Ragion per cui, nell'azione revocatoria ordinaria, l'onere della prova è sempre a carico del creditore (Foschi A. Verso Il Nuovo Codice Della Crisi), attore, contro il debitore e il terzo, convenuti. L'azione revocatoria ordinaria inerisce agli atti a titolo oneroso per i quali sono previste diverse discipline, ai fini dell'azione stessa, in base alla loro tipologia (“atti anormali” e “atti normali di gestione”).

In ambito latamente fallimentare, con questa azione, che non può essere promossa oltre tre anni a far data dalla sentenza dichiarativa di fallimento4 e, comunque entro cinque anni dal compimento dell'atto, il Curatore può chiedere che gli atti posti in essere in pregiudizio ai creditori siano dichiarati inefficaci nei confronti degli stessi (Pagano A.J., Tumule O. Comparative bankruptcy procedural law aspects of cross-border and domestic avoidance action). Tale profilo sottende non già alla nullità ex tunc dell'atto, bensì alla inopponibilità dello stesso nei confronti dei creditori. L'azione non colpisce, quindi, la validità dell'atto ma incide sulla sua efficacia.

Se nelle procedure coatte l’elemento dirimente è il pregiudizio ed il rimedio è l’azione ex art. 2901 c.c., nelle procedure volontarie maggiori, in particolare nel concordato preventivo, fulgido esempio della volontarietà concorsuale sub iudice, diverso è il concetto di atto in frode - da inquadrare temporalmente, peraltro, nelle distinte fasi di vita della procedura - e diverse sono le conseguenze.

La rilevanza dei comportamenti posti in essere dal debitore anteriormente alla richiesta di ammissione alla procedura ex art. 160 e 161 l.f. va valutata e contemperata, alla luce del superamento, sin dal 2005 del requisito della meritevolezza, che ha comportato il riconoscimento dell’accesso alla procedura concorsuale volontaria concordataria alla intera pletora dei soggetti astrattamente fallibili quantitativamente. La procedura concordataria, dunque, non risulta più preclusa, quasi in rito, da eventuali atti pregiudizievoli antecedenti volti ad inficiare in peius l’esito della procedura de qua. Tale profilo risulta vantaggioso non già esclusivamente per l’istante, ma anche per la massa dei creditori, giusta contingenza per cui – attesa una maggior soddisfazione, debitamente asseverata - sarebbe inconferente, in particolare coi dettami della norma ed in general con l’esprit de loi che regge il R.D. 267/1942, impedire il miglior realizzo quantitativo, qualitativo e temporale dell’attivo concorsuale per la mera occorrenza di uno o più atti, potenzialmente censurabili e pregiudizievoli, posti in essere antecedentemente alla domanda dal debitore medesimo (Ambrosini S. La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo). In ordine a tali rilievi, volendo operare, come da incipit, un trait d’union con gli atti in frode e relative conseguenze concorsuali, gli unici elementi che sono forieri in potenza di un provvedimento di revoca sono quelli di cui all’art. 173 l. fall.; la severità che sottende al provvedimento di revoca va ricercata nella stretta correlazione tra i suddetti atti ed il concordato instaurato. Volendo tirare le fila, da una parte, gli atti pregressi, astrattamente, non risultano dirimenti ai fini della ammissibilità della domanda, né della di questi omologa e della successiva rituale prosecuzione ma, comunque, dall’altra parte, in ogni caso, l’imprenditore è comunque tenuto ed onerato, nell’avvalersi di detta procedura, al rispetto della regola di correttezza, dovendosi pertanto reputare inammissibile esclusivamente l’iniziativa che miri, per l’appunto, a pregiudicare dolosamente la massa, condizionandone in qualche modo il voto ed il consenso. Sembra, dunque, che nel concordato, come nella procedura minore di liquidazione ex art. 14 ter post novella L.176/2020, non siano dirimenti ed ostativi gli atti pregressi ai soli fini dell’ammissione al concordato. Risultano, invece, avere un qualche rilievo allorquando gli stessi costituiscano fatti astrattamente idonei a pregiudicare il corso del concordato stesso nella accezione di un vizio nella informativa congrua e veritiera alla massa creditoria. In tal senso, dunque, si viene a creare un profilo di correlazione della frode posta in essere dal debitore concordatario, la quale ex se non sarebbe suscettibile di censura, ma risulta soggetta alla scure della revoca allorquando si configuri la idoneità dell’atto ad inficiare l’informativa e la successiva votazione della massa.

In estrema sintesi, non risultano in astratto suscettibili dell’istituto di cui all’art. 173 gli atti in assoluto lesivi della garanzia creditizia, bensì solo quelli che sarebbero volti a non garantire una trasparente e veritiera valutazione da parte della massa sulla proposta concorsuale.

La prescrizione contenuta nell’art. 173 sottende alla connaturata dipendenza del procedimento endoconcorsuale di revoca dalla operazione di accertamento e divulgazione ad opera del commissario giudiziale. Tale operazione, dunque, assume rilievo solo per quegli atti, astrattamente frodatori, scoperti dal commissario, sino a quel momento taciuti dal debitore nella proposta e, dunque, non note alla massa ed agli organi concorsuali preposti (Fortunato S. Il commissario giudiziale nel concordato con riserva). Per assurdo, non sembra illogico che un atto palesemente patrimonialmente lesivo per il ceto creditorio, se inserito nella proposta (e giustificato adeguatamente?), possa superare il vaglio della relazione del commissario essendo, a contrario, in linea coi crismi di cui all’art. 173 l.f., il cui contenuto espositivo, deve essere sempre effettuato in guisa tale che i creditori siano messi in condizioni di enucleare le operazioni che vengono in evidenza sotto il profilo in questione e le loro implicazioni ai fini concordatari, volta ad accertare ed enucleare la totalità degli elementi utili alla consapevole manifestazione del consenso informato da parte della massa (Ambrosini S. Il voto e la significatività del silenzio).

A tali sistematiche conclusioni, teoriche e pratiche, si giunge anche volgendo la mente al Codice della Crisi d’Impresa che, nella sezione dedicata agli “atti di frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura” rubricati a mente dell’art. 106 (Cossu M.M. Azione di responsabilità curatela fallimentare e quantificazione del danno risarcibile), riprende pedissequamente l’elenco delle condotte omissive e commissive astrattamente sanzionabili prescritte ai sensi del primo comma dell’art. 173 l.f. (occultamento o dissimulazione di parte dell’attivo, dolosa omissione di uno o più crediti ed esposizione di passività insussistenti), ed inserisce una vaga statuizione, prima facie da considerare residuale, denominata “altri atti di frode”, prescrivendo, alla occorrenza dell’una o dell’altra fattispecie, la conclusione della procedura concorsuale e la potenziale instaurazione della liquidazione giudiziale, fu fallimento, previo debito ricorso di uno dei soggetti legittimati.

Un ultimo profilo concerne la effettiva alternatività coatta alle procedure volontarie. Se, dunque, a seguito di “disclosure” concordataria tale da sancire la revoca ex art. 173 l.f. della procedura volontaria, l’esito può ben essere quello della liquidazione fallimentare, in proprio o su istanza altrui, viene da chiedersi quale potrebbe essere la fattiva alternativa concorsuale, onde non ledere alcun creditore, per il soggetto non consumatore non fallibile allorquando si ravvisi un atto astrattamente lesivo ma non “restaurabile” finanche mediante la revocatoria. Sinistramente, come infra osservato, sembra quasi che il Legislatore possa aver legittimato la retrogradazione alle azioni esecutive.

4. La legittimazione del Liquidatore alla instaurazione della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.

Preliminarmente ad una dissertazione sui profili processuali ed operativi dell’azione, appare opportuno indagare su quale sia la natura, la ratio della legittimazione ex se concessa ad un soggetto che, salva la connotazione concorsuale latu sensu della procedura, sembra essere altro da sé rispetto alle fisiologiche figure naturalmente legittimate ad esperire l’Actio Pauliana (Farolfi A. La frode nel sovraindebitamento dopo la Legge n. 176/2020)

Difatti, nel solo alveo della legge fallimentare, volendo volgere la mente alla sola figura concorsuale legittimata a revocare atti dispositivi posti in essere dal debitore, il Curatore Fallimentare (ed il Commissario nella L.C.A.), sembra differire dal Liquidatore del sovraindebitato sotto molteplici profili.

In primo luogo, la procedura fallimentare, ancorché sia prevista la procedura del c.d. fallimento in proprio, risulta essere coatta e altro da sé rispetto alla naturale volontarietà di un sovraindebitamento che, in ogni caso, è assolutamente volontario.

Secondariamente, il Curatore è naturale sostituto processuale del soggetto decotto, mentre il Liquidatore, al più, risulta legittimato speciale e particolare per l’azione ex art. 2901 cc.

In ultima istanza, al netto delle valutazioni di merito, la legittimazione del Liquidatore sembra discendere da una esigenza sociale, quella di consentire al debitore incauto ed ingenuo (o fraudolento), di esperire la procedura del sovraindebitamento (Benvenuto G. Gli atti in frode e l’inutilità della meritevolezza) Diversamente, il Curatore agisce per interesse pubblico, al di là di qualsivoglia giudizio di merito ex ante ovvero ex post per la connaturata tutela del ceto creditorio.

Nell’ambito delle procedure concorsuali maggiori, rectius il solo Concordato Preventivo, escludendo per natura l’accordo ex art. 182 bis, invece, non risulta alcuna legittimazione di tal fatta, né per il Commissario Giudiziale né tantomeno per il Liquidatore Giudiziale, giusta la duplice occorrenza, alternativamente, tale per cui l’atto sia stato debitamente esplicato e validato giusta omologazione ovvero sia stato oggetto di disclosure del Commissario (Ambrosini S. Gli atti di frode nel concordato preventivo: un tema sempre attuale e scivoloso) ed abbia comportato le conseguenze prescritte ex art. 173 l.f.; ed a nulla sembrano valere i parallelismi, quanto mai forzati ed inopportuni, sebbene presenti in dottrina, tra Curatore e Commissario, in quanto, anche qualora fosse riconosciuta in astratto la possibilità per quest’ultimo di adire gli organi competenti per una qualsivoglia actio pauliana, il debitore avrebbe sempre il diritto alla rinuncia della procedura, configurandosi, dunque, come norma monca.

Quindi, ad avviso degli scriventi, la natura della legittimazione del Liquidatore del sovraindebitato, risulta di difficile connotazione ed inquadramento sistematico – giuridico, non potendosi collocare, finanche per analogia, in alcuna delle figure professionali insite e connaturate alle procedure maggiori.

Al più, forse, si potrebbe riconoscere al Liquidatore, non già una sostituzione processuale con il debitore prescritta nel fallimento, bensì una sostituzione con il creditore, particolare o generale, che risulta altro da sé rispetto a quanto svolto dal Curatore, che agisce per la tutela generale della massa, mentre il Liquidatore, forse, sembra agire come se fosse un creditore.

5. Il giudizio di merito del Gestore della Crisi e del Giudice. Diniego di omologa, revoca e mancata esdebitazione

Il focus di cui al presente articolo, in verità, nasce da un quesito pratico. Sorgono, difatti perplessità, agli occhi degli scriventi, allorquando, in fase di verifica delle prescrizioni standard vagliate generalmente dagli Organismi della Composizione della Crisi, il Gestore dovesse ravvisare uno o più atti dispositivi compiuti dall’istante, astrattamente fraudolenti per il ceto creditorio.

In particolare, a fronte di un atto in frode, quale ad esempio, la collocazione e susseguente distrazione di una somma di denaro, ricevuto a vario titolo, su conto corrente di soggetto terzo, vuoi coniuge, parente o semplice conoscente, gli autori si chiedono quale sia la connotazione qualitativa e quantitativa dell’atto ex se allorquando la somma distratta fosse teoricamente da porre, alla lettera della norma, ex novo a disposizione del ceto creditorio, non già particolare, bensì concorsuale.

Ci si chiede, dunque, se, in analogia con le prescrizioni di cui agli artt. 172 e 173 l.f., la trasparenza evidenziata dal debitore e contestuale ripristino delle somme o dei beni, momentaneamente sottratti ad una potenziale azione esecutiva dei creditori, possano evitare la inammissibilità ovvero la successiva revoca del piano instaurando. Appare in particolare lecito domandarsi se la richiamata trasparenza, giustamente valorizzata in una procedura al cui mancato successo può seguire il fallimento, non sia degna di analoga considerazione nelle procedure di sovraindebitamento del soggetto non fallibile.

Preliminarmente, sembra ovvio, per quanto suesposto che la inammissibilità non sia assolutamente pronunciabile, giusta novella ex art. 176/2020 sulla introdotta revocatoria, tale per cui non si ravvisa la possibilità di una censura in rito (Minniti G. L'insostenibile meritevolezza del sovraindebitato).

Del pari, sembra che anche la revoca, nell’accezione del combinato disposto di cui agli artt. 14 ter L. 3/2012 e 172-173 L.F., non sia esperibile almeno per le seguenti ragioni. In primo luogo, la revoca post verifica del commissario, che potremmo definire “concordataria” pare non aver luogo, finanche per analogia, all’interno del quadro della liquidazione del patrimonio, proprio per la espressa assenza di un qualsivoglia vaglio successivo al deposito da parte di un organo di controllo.

Difatti, se anche volessimo trovare un trait d’union tra le operazioni di verifica del commissario e del gestore della crisi, quest’ultimo non sarebbe investito dei poteri successivamente al deposito del piano, bensì è proprio mediante la di questi relazione che il piano acquista astrattamente la configurazione minima atta per poter essere depositata (Rolfi F., Composizione della crisi da sovra indebitamento: il profilo della fattibilità nell’accordo e nel piano). In secondo luogo, nell’ambito dell’istituto di cui alla liquidazione del patrimonio, manca il presupposto della informativa mendace volta a pregiudicare il voto del ceto creditorio, in quanto il piano risulta esclusivamente soggetto alla omologa del giudice e non già al consenso della massa.

Parimenti, non sembra nemmeno esperibile l’istituto della revoca proprio della procedura liquidatoria, in quanto manchevole del presupposto, oramai tacitamente abrogato, che reggeva la norma.

Permangono, comunque, forti dubbi sulla assenza preliminare di possibilità di valutazione su atti dispositivi, fraudolentemente, sì in questo caso anche preordinati, posti in essere al solo fine di impedire azioni esecutive solventi da parte del singolo creditore con la prospettiva di ripristinarli per operare una procedura concorsuale.

Sul piano della valutazione del Giudicante ai fini della omologa, in verità, le determinazioni degli scriventi muovono lungo due fila distinte e separate, ma giungono alle medesime conclusioni di cui alle azioni “postume” del Gestore della Crisi, nel senso di non ravvisare una legittima preclusione alla omologa della procedura corredata dei crismi prescritti per la sola occorrenza di un atto revocabile, debitamente accertato, compiuto nel periodo rilevante, né tantomeno una legittimazione ad operare inaudita altera parte una revoca “concordataria” ut supra delineata, per assenza di legittimazione e di presupposti, finanche rinvenibili in via analogica.

Proprio sul piano sistematico - giuridico circa l’inquadramento del provvedimento del Giudicante, vale la pena precisare che, sebbene la definizione di “omologa” sia precipuamente inserita nell’14 quinquies co. 2 lett. b), in verità, l’atto decisorio si sostanzia in un decreto di apertura della liquidazione. Tale dicotomia, ad avviso di chi scrive, sottende ad una differenza, allo stato più formale che sostanziale, con l’omologazione, propria degli accordi e del piano, mediante la quale il Giudice Delegato opera un vaglio di merito ed avalla la proposta del debitore, qualitativamente e quantitativamente (basti pensare ad una liquidazione parziale dei cespiti, vedi su tutti Tr. Livorno 09.06.2021), mentre, nella liquidazione ex art. 14 ter, il decreto assume quasi una forma dichiarativa, anche alla luce delle minori preclusioni in rito ivi inserite, essendo, seguendo l’esprit de loi di cui alla norma, sempre consentito (teoricamente) al debitore liquidare in proprio la totalità dei beni.

Sebbene connotato di legittimi dubbi, non sembra poter concludere diversamente che, in presenza di un piano non inammissibile e corredato della relazione ex art. 9, pur in presenza di atti revocabili, sia plausibile una omologazione del piano o, comunque, una apparente impossibilità, da parte del Gestore e del Giudicante, di precludere “in rito” la via concorsuale all’istante. (Maiolino M.A., L'esdebitazione nel sovraindebitamento)

Dunque, cosa rimane al Giudicante per sanzionare il comportamento, astrattamente revocabile, messo in atto dal debitore? Ovviamente, la chimera della esdebitazione. All’uopo vale la pena ricordare, per tutti, quanto evidenziato da Giugni (Sovraindebitamento, meritevolezza, esdebitazione: un legame indissolubile?), secondo cui “L’esatta individuazione della meritevolezza, per quanto si stia progressivamente cercando di oggettivizzarne il contenuto, è però ad oggi rimessa, specie nel piano del consumatore e nella procedura di esdebitazione che segue la liquidazione dei beni, all’autorità giudiziaria”.

Teoreticamente il Giudice Delegato, omologato il piano, ritenuto più soddisfacente di qualsivoglia procedura esecutiva individuale, pur ravvisando atti revocabili al quinquennio, impossibilitato a pronunciarsi nel senso della inammissibilità, “armato” il Liquidatore di restaurare la situazione fraudolenta, ben potrebbe negare la esdebitazione all’istante, giusta assenza di qualsivoglia norma contraria ovvero abrogativa, riducendo il piano concorsuale, volto nell’esprit de loi ad essere una salvacondotto sociale e morale oltre che legale dalla morsa dei debiti (denominata non a casa salva-suicidi), ad un piano dilatorio, una moratoria, un mero pagamento rateale vincolante, incapace ipso iure di produrre il risultato cui la norma tende, la esdebitazione.

6. Conclusioni

A parere di chi scrive, al fine di evitare di voler credere che il fine ultimo del Legislatore potesse essere quello di creare il grottesco scenario poc’anzi evidenziato, affatto inverosimile, e rendere, di fatto, vuota una norma che, invece, dovrebbe tendere alla liberazione, rectius, inesigibilità della residuale somma dovuta a seguito di chiusura della procedura, non resta che sperare in un nuovo correttivo della norma, forse, nel senso di creare una dicotomia sull’atto revocabile, duplicando i poteri del Liquidatore e consentendo a quest’ultimo di esperire le azioni di revocatoria fallimentare, quantomeno per gli istituti di cui agli artt. 64, 65 e 67.

Difatti, la revocatoria fallimentare, nelle sole declinazioni summenzionate, prescinde dalla forma mentis dei contraenti, poggiando su basi economico – matematiche e temporali. In questo solco, non vertendo sull’aspetto fraudolento dell’atto, essendo profilo proprio della revocatoria ordinaria, oggi unica azione concessa al Liquidatore del sovraindebitamento, ben si potrebbe ovviare al plausibile vaglio negativo in sede di diniego di esdebitazione, venendo a mancare il dolo ed il consilium fraudis.

In ultima istanza, solo per mero tuziorismo, si segnala, ai soli fini di una compiuta disamina del più ampio concetto di meritevolezza, in giurisprudenza, ancora una certa riottosità a superare suddetto concetto da parte del debitore consumatore a fronte di una asserita colpa grave nell’aver contratto debiti sproporzionati rispetto alla capacità economico – finanziaria. Difatti (Trib. Ferrara 7 aprile 2021, Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 16 aprile 2021 e Trib. Catania 5 marzo 2021) tale atteggiamento sembra muovere nella impossibilità (ex ante?) di prevedere una possibile restaurazione, finanche forzosa, della situazione precedente alla contrazione del prestito ovvero finanziamento “incriminato”. Un possibile spunto per prossimi approfondimenti potrebbe effettivamente vertere sul mantenimento, sullo strascico di uno dei capisaldi della prima formulazione della L. 3/2012, proprio della meritevolezza che, come confermato dal presente elaborato, probabilmente sarà confinata nell’alveo della responsabilità da colposo o gravoso (consapevole?) sovraindebitamento.

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