Famiglia, minori e successioni

No al cognome del marito se non sussiste un interesse meritevole di tutela

Dopo la pronuncia di divorzio, si può mantenere il cognome maritale solo in casi straordinari affidati alla decisione discrezionale del giudice di merito (Cass., ordinanza n. 654/2022)

martelletto-fedi“L'aggiunta del cognome maritale è un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio. L'eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell'interesse meritevole di tutela dell'ex coniuge”.

Questo è il principio espresso dalla Cassazione civile con l'ordinanza n. 654 dell'11 gennaio 2022 (testo in calce).

Sommario

Il fatto

Con l'ordinanza n. 654 dello scorso 11 gennaio 2022, la Cassazione è intervenuta in materia di mantenimento del cognome del marito, da parte della ex moglie, a seguito della pronuncia di divorzio. Con un unico motivo, la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma terzo, della L. n. 898/1970, ai sensi del quale: “il tribunale con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela”.

A parere della difesa della donna, la Corte territoriale non ha tenuto conto, screditando le prove documentali prodotte in giudizio, dell'interesse alla conservazione del cognome, divenuto parte integrante della sua identità personale e della sua vita sociale in quanto da oltre 25 anni è nota nella città dove vive solo con il cognome dell'ex marito. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso.

L'ordinanza

La Suprema Corte ha ritenuto che la ricorrente abbia richiesto, sotto l'apparente denuncia di violazione di legge, un vero e proprio riesame nel merito e una rinnovata valutazione dei fatti allegati. Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, stando alla lettura dell'art. 143 bis cod. civ., “la donna aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”: dunque trattasi di un effetto del matrimonio circoscritto alla perduranza del rapporto di coniugio.

La regola generale è quella contenuta nel richiamato art. 5 della L. n. 898/1970 e cioè: “la moglie riacquista il cognome che essa aveva antecedentemente al matrimonio” ma, come statuisce il comma terzo, in presenza di un interesse meritevole di tutela, il Giudice può autorizzare la donna a mantenere il cognome dell'ex coniuge, dopo aver valutato la sussistenza delle circostanze eccezionali richieste dalla richiamata normativa.

Va ricordato che nell'ipotesi di violazione, da parte della donna divorziata, del divieto dell'uso del cognome del marito, quest'ultimo può, ai sensi dell'art. 7 cod. civ., chiedere la cessazione del fatto lesivo oltre al risarcimento del danno tenendo, tuttavia, presente che mentre per l'azione inibitoria è sufficiente che l'attore dimostri un potenziale pregiudizio, per poter esercitare l'azione risarcitoria devono sussistere i requisiti, tanto soggettivi quanto oggettivi, dell'illecito aquiliano, di cui all'art. 2043 cod. civ. (ex multis, Cass., n. 8081/1994). A tal proposito, nella ordinanza in commento, la Cassazione ha messo in evidenza come l'uso perdurante del cognome possa costituire un pregiudizio per il coniuge che lo abbia inibito e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile e riconosciuto come legame attuale “anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente”.

Le conclusioni

Per gli ermellini, il giudice di merito ha correttamente applicato i principi giuridici a supporto della decisione motivando la mancanza di un interesse reale e concreto al mantenimento del cognome perchè “sostanzialmente rivolto alla conservazione e/o affermazione della notorietà derivante dall'ex marito nelle frequentazioni sociali, ossia tra quelle stesse persone che, come evidenziato dal tribunale, non possono ignorare le vicende della coppia”.

La genericità dei capitoli di prova formulati dalla difesa, non hanno supportato la richiesta di uso del cognome né dimostrato la sussistenza del presupposto di un interesse concreto ed eccezionale, così come, dalle allegazioni prodotte, non si evince come il cognome dell'ex coniuge potesse rappresentare un identificativo della donna dal punto di vista sociale e personale.

Per questi motivi, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio.

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 654/2022 >> SCARICA IL TESTO PDF 

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