Rapina con mascherina anti-Covid, sì all'aggravante del travisamento
Indossare la mascherina in occasione di una rapina è comportamento idoneo ad integrare la circostanza aggravante speciale del travisamento.
Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1712 depositata il 17 gennaio 2022 (testo in calce).
Nella ipotesi di specie, il difensore dell’imputato, condannato in appello per il delitto di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, comma 3, n. 1, c.p., aveva sostenuto l’insussistenza della circostanza aggravante, trattandosi - a suo dire - di comportamento imposto dalla legge, in quanto reso obbligatorio dalla normativa conseguente all’emergenza pandemica da Covid-19.
Sul punto, va premesso che, secondo costante giurisprudenza, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del travisamento nel delitto di rapina è sufficiente una lieve alterazione dell’aspetto esteriore della persona, conseguita con qualsiasi mezzo anche rudimentale, purché idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona stessa (Cass. Pen., Sez. VI, 3 aprile 2014, n. 21890, in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante, atteso che l’imputato indossava sul volto una calza di seta al fine di celare i suoi lineamenti, non rilevando che la calza, data la sua leggerezza, non impedisse del tutto la visualizzazione dei tratti somatici; Cass. Pen., Sez. II, 27 aprile 2011, n. 18858, in cui l’aggravante è stata riconosciuta in relazione al travisamento realizzato indossando un cappello con visiera e un paio di occhiali scuri).
La ratio dell’aggravante è individuabile nella maggiore pericolosità dell’aggressore, che, consapevole di essere irriconoscibile, è indotto a superare ogni prudenza, e nel maggior timore che egli incute nella vittima (Pizzuti, Rapina, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987).
Ancora, il successivo riconoscimento non fa venir meno l’applicabilità dell'aggravante e, in ipotesi di concorso di più persone nel delitto, è sufficiente che una sola di esse sia travisata.
Nella fattispecie, la Corte ha riconosciuto l’aggravante ritenendo il “travisamento mediante mascherina” chiaramente causalmente orientato alla commissione del delitto e certamente idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento dell’autore del fatto.
In tale prospettiva, a nulla rileva il fatto che il comportamento materiale fosse imposto dalle disposizioni volte a contenere l’emergenza sanitaria, unicamente rilevando l’idoneità del comportamento al fine suindicato, accompagnato dalla consapevole finalizzazione del comportamento: id est, il nesso tra l’utilizzo dello strumento di protezione e predetta emergenza viene valutato in termini di “necessaria occasionalità”.
La tesi difensiva, è appena il caso di soggiungere, pare impropriamente sovrapporre il piano delle cause di non punibilità (nella specie, adempimento di un dovere) a quello delle circostanze del reato, elementi che stanno intorno (circum stant) o accedono a un delitto già perfetto, quali elementi esterni e contingenti (accidentalia delicti), e dimenticare il principio dell’imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti introdotto al comma 2 dell’art. 59 c.p. dalla l. n. 19 del 1990, che stabilisce che esse siano valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. In tale ultimo senso, è evidente, per effetto dell’estensione legislativa del principio nulla poena sine culpa, a nulla rileva la contingente previsione di obbligatorietà dell’utilizzo della mascherina come strumento di protezione individuale, laddove lo stesso sia valutato come consapevolmente indirizzato a travisare l’aspetto della persona in occasione della commissione del delitto.
CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 1712/2022 >> SCARICA IL TESTO PDF
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