Famiglia, minori e successioni

Aborto e diritti umani: Europa contro Stati Uniti

Un’indagine sulla crisi di un modello antropologico (Parlamento europeo, risoluzione n. 302/2022)

Il Parlamento Europeo corre ai ripari dopo la storica sentenza della Corte Suprema Americana che esclude l’aborto dal novero dei diritti costituzionali degli Stati Uniti. Con la Risoluzione 7 luglio 2022, n. 302 (testo in calce), l’Eurocamera chiede al Consiglio di inserire nella Carta dei diritti Fondamentali dell’UE un nuovo articolo 7 bis, che recita “diritto all’aborto: ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”.

Aldilà degli schieramenti pro life e pro aborto, la frattura tra Europa e Stati Uniti merita un’indagine profonda sulla crisi di un modello antropologico individualista, sul quale si moltiplicano costruzioni giuridiche di diritti umani sistematicamente frustrati, perché concepiti sull’idea astratta di un tipo d’uomo slegato ed indipendente dagli altri.

 Sommario

Una formulazione ambigua

La formulazione della nuova norma coniata dai deputati europei pone subito una prima domanda: cosa significa “diritto all’aborto legale”? L’aggettivo “legale” sta ad indicare un limite all’estensione del diritto di aborto (una c.d. riserva di legalità) o invece è parte integrante del contenuto del nuovo diritto?

Detto in parole più semplici: il diritto all’aborto che l’Eurocamera vorrebbe costituzionalizzare è solo quello “legale” e cioè quello compiuto nel rispetto delle leggi che ne regolano i confini e le modalità? Oppure il Parlamento intende piuttosto attribuire al nuovo diritto un valore sovraordinato alla legge, creando quindi un nuovo diritto dell’individuo ad avere leggi che consentano sempre di abortire?

Sembra più probabile che la strada perseguita a Bruxelles sia la seconda, visto che il nuovo articolo 7 bis vuol essere una reazione alla sentenza della Corte Suprema Americana che non ha affatto vietato l’aborto, ma ne ha “solo” disconosciuto la natura di diritto costituzionale, rimettendo alla legge di ciascuno Stato la scelta di consentirlo, ed eventualmente regolarne o limitarne le modalità.

Europa vs Stati Uniti: frattura sul fondamento dei diritti umani

Se questa è la volontà di Bruxelles, la vera frattura tra Europa e Stati Uniti in questo momento non è tanto o solo sul tema dell’aborto. Proviamo ad uscire per un attimo dal solito schema binario pro life/ pro aborto per trovare invece il nodo giuridico della questione.

Per la Corte Suprema americana l’aborto, ritenuto per 50 anni un diritto costituzionale, non merita questo status, perchè “non è profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della nazione”, va lasciato dunque al metodo democratico di formazione della legge all’interno di ciascun singolo Stato.

Per il Parlamento Europeo, dietro l’aborto c’è il diritto fondamentale alla salute riproduttiva della donna, che deve essere sottratto al vaglio democratico dei parlamenti nazionali e assurgere al rango di diritto umano.

Ma al di fuori dell’alveo democratico, dove risiede il fondamento dei diritti umani? E quando un nuovo diritto, come l’aborto, può dire di aver raggiunto quella portata di universalità che gli consente di sottrarsi ai limiti del metodo democratico?

Per la Corte Suprema americana lo status di diritto umano dovrebbe emergere da una sorta di consenso diffuso nella pratica, che affiori dalla storia e dalle tradizioni di una nazione, e considerando i forti dissensi dei parlamenti dei singoli stati intorno al tema, questo consenso storico intorno al diritto di aborto, non sarebbe ancora maturato.

Per Bruxelles invece dovrebbe prevalere un consenso ideologico, che salvaguardi le garanzie dell’individuo al di sopra delle valutazioni democratiche delle maggioranze parlamentari. Per questo la risoluzione del Parlamento Europeo esprime profonda preoccupazione per il “regresso” del diritto di aborto in Paesi come la Polonia, l’Italia, l’Ungheria, la Slovacchia, la Croazia, Malta.

Per Bruxelles la maggioranza democratica può “sbagliare” e portare ad una violenza dei più contro l’individuo, sarebbe quindi necessario preservare i diritti umani dalle decisioni dei parlamenti e sigillarle nell’ordinamento sovranazionale.

Una base più solida per i diritti umani

Ma sia che il fondamento dei diritti umani venga cercato in un consenso pratico raggiunto attraverso la storia dei popoli, sia che piova dall’alto sotto forma di consenso ideologico, in ogni caso rischia di essere costruito su basi fragili e mutevoli, che qualunque sconvolgimento potrebbe compromettere.

In entrambi i casi, la nascita e la morte dei diritti dell’uomo, rischia infatti di cadere preda del potere di chi detenga la forza di cambiare la storia o di chi abbia la forza e i mezzi per condizionare l’ideologia. In entrambi i casi il diritto nel suo nucleo più alto ed essenziale, si fa schiavo anziché guida dell’azione politica.

In tema di diritti umani, un ancoraggio più solido che sia veramente capace di essere universale, valido ad ogni latitudine, resistente ad ogni stravolgimento politico, deve essere trovato oltre la storia e l’ideologia, dentro l’indagine sulla natura stessa dell’uomo.

Dunque la nascita di ogni diritto umano dovrebbe sempre essere preceduta da una domanda cruciale: corrisponde o no alla verità della natura umana? E per quanto la conoscenza della natura umana sia sempre un cammino in continua evoluzione per tutta la durata della storia, ogni uomo ha un criterio di conoscenza della propria natura insito nell’esperienza delle proprie esigenze elementari.

Al vaglio di questo criterio, quando allora un diritto può assurgere al rango di diritto umano fondamentale?

Diritto alla salute: banco di prova del modello individualista

Prendiamo il nascente diritto all’aborto, che vuole proteggere, come dice il Parlamento Europeo, il diritto umano fondamentale alla salute sessuale e riproduttiva della donna, salute da intendere sia in senso fisico, per i problemi legati alla gravidanza ed al parto, che in senso psichico, come malessere nell’accettare una nascita indesiderata.

Questo diritto alla salute, corrisponde in modo integrale alla verità della natura umana?

Lasciamo perdere ideologie o concezioni religiose: attingiamo per un attimo alla constatazione della natura umana come ci arriva dalla vita.

Chi potrebbe negare che la salute è un bene giuridico di importanza decisiva per ogni singolo uomo?

Eppure, la pandemia di Covid 19 ci ha appena mostrato come la salute umana sia un bene sì individuale ma che non può prescindere per la sua conservazione dalla collaborazione altrui, un diritto che l’individuo non può godere e tutelare in via individuale, solo che gli venga riconosciuto per carta, ma che ha bisogno di essere percepito come bene assoluto anche dagli altri.

L’inefficacia di una costruzione individualista del diritto alla salute, è emersa con evidenza quando il prolungarsi dell’epidemia ha spinto a compromissioni del bene giuridico individuale in nome di esigenze economiche della collettività.

Se non fosse bastata l’esperienza del Covid a mostrare la poca autenticità della costruzione giuridica individualista, l’attuale sfida ecologica fa da riprova e addirittura evidenzia che la salute dell’individuo è un bene che dipende inesorabilmente non solo da comportamenti individuali degli altri ma addirittura da condotte collettive e globali di utilizzo dello spazio comune.

Davanti a queste elementari constatazioni esperienziali, può ancora trovare spazio l’idea di concepire i diritti umani come prerogativa assoluta dell’individuo, rivendibicabile sulla carta?

Il diritto di non essere soli

Sul banco di prova del mondo occidentale, non è il tema dell’aborto, ma tutto un modello antropologico inautentico al quale è stata piegata una costruzione giuridica frustrante ed inefficace nei fatti. Pensando l’uomo come individuo slegato dai rapporti con i propri simili, dentro un modello di coesistenza dei singoli anziché di loro collaborazione e comunione nei diritti, quello che rischia di rimanere frustrato è l’orizzonte di senso del diritto.

A che serve infatti lo sforzo di moltiplicare il numero di diritti individuali, se poi non trovano effettiva soddisfazione nella realtà?

Il diritto alla salute riproduttiva non rischia di nascere già come un controsenso, quando la donna è stata vittima magari di una violenza sessuale, o si è trovata abbandonata dal proprio partner, o teme l’abbandono per la nuova gravidanza?

In questa corsa all’incremento di nuovi diritti sulla carta, il diritto stesso rimane intrappolato in continui scontri ideologici, nelle maglie di una dialettica sempre più violenta, che lascia spazio alla regolazione di rapporti di forza tra singoli, forze politiche, nazioni, e ad una crescente solitudine del singolo dai suoi simili, dalla comunità, dalle istituzioni.

Forse in quest’epoca, esiste un vero diritto di portata universale, sebbene mai ufficialmente rivendicato, che più di tutti grida dal privato di ogni singola vita umana, specie davanti al dolore o a scelte drammatiche come quelle di una gravidanza non voluta: il diritto a non essere soli.

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