Famiglia, minori e successioni

Richiesta assegno di mantenimento: può avvenire per la prima volta nella memoria integrativa

Il giudizio di separazione ha natura bifasica: alla fase presidenziale segue, in caso di esito negativo, la fase contenziosa, che mutua le forme del giudizio ordinario di cognizione

Durante il giudizio di separazione personale tra coniugi, il marito chiede l’addebito alla moglie e la corresponsione di un assegno di mantenimento. La richiesta del mantenimento viene formulata, per la prima volta, nella memoria integrativa e i giudici la dichiarano inammissibile, in quanto non inserita nel ricorso introduttivo.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 21 settembre 2022, n. 27597 (testo in calce), chiarisce che, nel processo di separazione personale, è ammissibile la domanda del coniuge volta ad ottenere l'assegno per il proprio mantenimento, formulata per la prima volta nella memoria integrativa (ex art. 709 c. 3 c.p.c.), lo stesso dicasi per la richiesta di addebito.

Come la giurisprudenza ha affermato più volte, il giudizio di separazione ha una natura bifasica: a) la fase presidenziale è finalizzata alla conciliazione e, in caso di esito negativo, si apre b) la fase contenziosa davanti al giudice istruttore. Quest’ultima si svolge sulla falsariga del giudizio ordinario di cognizione, consentendo una progressiva formazione della vocatio in ius.

Secondo gli ermellini, «alle stesse conclusioni deve pervenirsi in ogni caso di domanda nuova, suscettibile di essere formulata nel giudizio di separazione, e quindi anche nel caso in cui il ricorrente formuli nella memoria integrativa, per la prima volta, la domanda finalizzata ad ottenere l'assegno per il proprio mantenimento».

Sommario

La vicenda

Durante il giudizio di separazione personale tra coniugi, il marito formula la domanda di addebito nei confronti della moglie e, nella memoria integrativa, chiede la corresponsione di un assegno di mantenimento pari a 300 euro.

L’uomo è invalido e accusa la moglie di aver violato i doveri di assistenza morale e materiale e di aver disposto del di lui denaro senza consenso, depauperandone il patrimonio.

Il tribunale rigetta la domanda di addebito e dichiara inammissibile quella relativa alla corresponsione del mantenimento poiché proposta, per la prima volta, nella memoria ex art. 709 c. 3 c.p.c..

La decisione viene confermata in sede di gravame e il marito ricorre in Cassazione.

Grava su chi chiede l’addebito l’onere di provare i fatti e il nesso causale

Il ricorrente lamenta il rigetto della richiesta di addebito della separazione alla moglie, in quanto il giudice del gravame avrebbe erroneamente posto a carico del marito l’onere di dimostrare il compimento delle operazioni economiche svolte dalla donna ad insaputa del primo. L'uomo sostiene che sia onere della moglie dimostrare di aver disposto delle somme del coniuge con il di lui consenso.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza.

Infatti, la parte che chieda l’addebito è gravata dall’onere di dimostrare:

  • che il comportamento del coniuge sia contrario ai doveri derivanti dal matrimonio,
  • e che la condotta del consorte sia stata eziologicamente connessa all’intollerabilità della convivenza (Cass. Ord. 16691/2020).

In ragione di ciò, il percorso argomentativo della sentenza gravata è corretto laddove pone a carico del ricorrente (il marito) l'onere di provare l'addebitabilità della separazione alla moglie per violazione del dovere di assistenza.

Dagli atti non è emerso:

  • che la gestione del patrimonio da parte della moglie sia stata svolta al fine di ottenere una ingiusta locupletazione a danno del marito;
  • e che la condotta del coniuge abbia avuto un’efficienza causale nella genesi della crisi coniugale.

In particolare, il marito si duole della stipula della convenzione matrimoniale di separazione dei beni con la quale – a suo dire – la moglie avrebbe approfittato delle sue ridotte capacità per impoverirne il patrimonio. La Suprema Corte rileva come l’atto sia stato rogato da un notaio e, quindi, debba presumersi, sino a prova contraria, che la capacità dell’uomo sia stata previamente verificata dall’ufficiale rogante.

In conclusione, il rigetto della richiesta di addebito si fonda sull’assenza di prova circa la sussistenza di una iniusta locupletatio perseguita dalla moglie a danno del marito e dell’assenza del nesso causale tra la mentovata condotta e la crisi coniugale.

Famiglia e diritto, direzione scientifica a cura di Sesta Michele, IPSOA. Mensile di dottrina e giurisprudenza - Profili sostanziali, processuali, successori e tributari del diritto di famiglia.
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La natura bifasica del procedimento di separazione

Il ricorrente si duole del fatto che il giudice del gravame abbia erroneamente ritenuto che la richiesta della corresponsione dell’assegno di mantenimento non potesse essere formulata, per la prima volta, nella memoria integrativa.

La Suprema Corte considera fondata la censura.

In materia di separazione giudiziale, l’art. 709 c. 3 c.p.c. prevede il deposito della memoria integrativa da parte del ricorrente nei termini assegnati dal Presidente. Infatti, dopo il fallito esperimento del tentativo di conciliazione, viene chiusa la fase del giudizio con l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti (fase presidenziale). Dopodiché viene fissata l’udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore (fase contenziosa).

Il procedimento di separazione tra i coniugi ha natura bifasica:

  • la prima fase, introdotta con il ricorso ex art. 706 c.p.c., è caratterizzata dal tentativo di conciliazione esperito dal Presidente (fase non contenziosa o presidenziale);
  • la seconda fase si apre in seguito al fallimento del tentativo di conciliazione ed è caratterizzata dalla contrapposizione dialettica delle parti dinnanzi al giudice istruttore ex art. 709 c. 3 c.p.c. (fase contenziosa).

Il provvedimento del Presidente segna il passaggio dalla fase non contenziosa a quella a cognizione ordinaria, infatti, la memoria integrativa introduce il giudizio contenzioso e reca gli stessi contenuti dell’atto di citazione. «Si tratta invero di un meccanismo al cui affermarsi segue la riformulazione della vocatio in ius nella fase contenziosa o che, meglio, costruisce la stessa come una vocatio a formazione progressiva nel passaggio dall'una all'altra fase».

Sì alla domanda di addebito e di mantenimento nella memoria integrativa

La richiesta di addebito e di corresponsione di un assegno di mantenimento può essere contenuta, per la prima volta, nella memoria integrativa.

La giurisprudenza si è già espressa in tal senso con riferimento all’addebito (Cass. Ord. 17590/2019). Infatti, il ricorrente potrebbe avere interesse a non formulare la domanda di addebito nel ricorso ex art. 706 c.p.c. per non compromettere la possibilità di una composizione consensuale della crisi coniugale.

La possibilità che la domanda possa essere svolta nella memoria integrativa, per la giurisprudenza, risiede nella struttura bifasica del procedimento. Lo stesso percorso argomentativo può essere seguito in relazione ad ogni domanda nuova suscettibile di essere formulata nel giudizio di separazione.

Il meccanismo delineato dall’art. 709 c.p.c. costituisce espressione di una precisa scelta legislativa, infatti, prevede anche per i procedimenti introdotti con ricorso l’impiego del modello processuale caratterizzato dalle scansioni e preclusioni tipiche del «giudizio contenzioso introdotto da citazione, a garanzia del contraddittorio pieno nella definizione del tema di lite, una volta che la conciliazione, tentata nella fase presidenziale, si prospetta come non percorribile» (Cass. 17590/2019; Cass. Ord. 16858/2018).

Conclusioni: il principio di diritto

La Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso relativo alla formulazione della richiesta di mantenimento nella memoria integrativa, cassa con rinvio alla Corte d’appello ed enuncia il seguente principio di diritto:

  • «Nel processo di separazione personale è ammissibile la domanda del coniuge volta ad ottenere l'assegno per il proprio mantenimento, formulata per la prima volta nella memoria integrativa di cui all'art. 709 c.p.c., comma 3, in ragione della natura bifasica del giudizio, ove la fase presidenziale, finalizzata alla conciliazione è seguita, nell'infruttuosità della prima, da quella contenziosa davanti al giudice istruttore, da introdursi secondo un sistema di norme processuali che mutua, per contenuti e scansioni, le forme del giudizio ordinario di cognizione, consentendo una progressiva formazione della vocatio in ius»

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