Famiglia, minori e successioni

La moglie con invalidità che continua a lavorare non ha diritto all’assegno divorzile

La contribuzione è dovuta se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa e non può procurarseli (Cass. civile n. 10702/2023)

Ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, sotto il profilo assistenziale l’ex coniuge deve provare l’inadeguatezza dei mezzi economici e l’impossibilità di ricercare la sua autosufficienza. Non può essere attribuito l’assegno divorzile alla moglie, seppur invalida e sessantenne, che ha continuato a lavorare come psicologa, e non ha mai chiesto la pensione di invalidità.

Il fatto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 20 aprile 2023, n. 10702 (testo in calce), ha respinto il ricorso di una donna alla quale era stato negato l’assegno divorzile sul presupposto della mancata prova dell’inadeguatezza dei suoi redditi e in assenza degli altri profili perequativi o compensativi che legittimano la richiesta di mantenimento da parte dell’ex coniuge.

La Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado che aveva fissato un assegno divorzile corrispondente all'importo di mantenimento fissato in separazione, ha revocato l’assegno.

Nonostante la moglie, in seguito ad isterectomia, fosse stata dichiarata invalida, aveva continuato a svolgere la libera professione come psicoterapeuta, dichiarando di percepire una retribuzione mensile media di 1.000,00 euro.

L’ex marito percepiva invece una retribuzione mensile di euro 2.500,00 ma doveva versare 400,00 euro al mese per il mantenimento della figlia nata dal precedente matrimonio.

Secondo la Corte territoriale non era riconoscibile alcun assegno alla donna, né sotto il profilo perequativo-compensativo, a causa della breve durata del matrimonio (dieci anni), e perché nessuna delle parti aveva sacrificato il proprio percorso professionale per favorire l'altro coniuge, né sotto il profilo assistenziale.

In Cassazione la ricorrente lamenta l’omesso esame delle sue condizioni di salute e della sua inabilità lavorativa, e sostiene che la Corte avrebbe dovuto tener conto sia della durata, tutt'altro che breve del matrimonio, della sua età di sessantenne, della mancata disponibilità di un immobile di proprietà, del contributo da essa dato alla formazione del patrimonio comune e di quello del coniuge, avendo investito somme di denaro (anche attraverso prestito dei propri familiari) nella ristrutturazione e negli arredi della casa familiare di proprietà esclusiva dell'ex coniuge.

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Niente assegno in funzione equilibratrice se nessuno ha sacrificato le proprie aspettative per la famiglia

Nel decidere il ricorso la Cassazione ribadisce l’orientamento ormai consolidato in materia di riconoscimento di assegno divorzile (Cfr. Cass. Civ. S.U. n. 12287/2018).

Una volta sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento. Al principio si deroga nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, e nel caso in cui nel matrimonio ci sia stato uno spostamento patrimoniale ingiustificato dall'uno all'altro, che deve essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

È il caso un cui uno dei due abbia scarificato le proprie aspettative professionali per favorire la carriera dell’altro o per dedicarsi esclusivamente alla cura della famiglia.

In assenza della prova di ciò, l'assegno può essere solo giustificato da una esigenza assistenziale, solo se il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa, o non possa procurarseli per ragioni oggettive.

Nel caso di specie, quanto alla componente perequativo-compensativa dell'assegno, la Corte d'appello ha rilevato che nessuna delle parti si era sacrificata per consentire la carriera dell'altro coniuge o per contribuire alla formazione di un patrimonio familiare.

Quanto alla componente assistenziale dell'assegno, la Corte d'appello ha correttamente tenuto conto delle condizioni di salute della donna, rilevando che la malattia oncologica risaliva agli anni del matrimonio e che, a seguito del divorzio, malgrado le fosse stata riconosciuta un'invalidità nella misura del 75%, la stessa aveva continuato a svolgere l'attività di libera professionista, dichiarando una reddito mensile pari a circa 1.000,00 euro, considerato inattendibile in relazione agli oneri sostenuti.

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