Penale

Trasgressione degli arresti domiciliari: quando è configurabile il fatto di lieve entità?

La norma si riferisce a violazioni di modesto rilievo, che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità degli arresti a tutelare le esigenze cautelari

Il fatto di lieve entità di cui all’art. 276, comma 1-ter, c.p.p., si riferisce a violazioni di modesto rilievo ovvero a quelle che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità della misura degli arresti domiciliari a tutelare le esigenze cautelari (Cassazione penale, sentenza n. 25981/2023 - testo in calce).

Il fatto

La sentenza che si annota è stata emessa a seguito del ricorso per cassazione avverso un’ordinanza del tribunale del riesame che, in sede di appello cautelare, confermava la sostituzione della custodia cautelare in carcere agli arresti domiciliari, disposta nei confronti del ricorrente ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter c.p.p.: questi, condannato in primo grado per i reati di ricettazione e detenzione di arma clandestina per i quali si trovava ristretto in via cautelare, non aveva, infatti, risposto alle insistenti chiamate tramite il campanello dell’abitazione e alle bussate alla porta della stessa nel corso di un controllo operato dalla PG alle 14.40 del 10 luglio 2022, venendo poi reperito in casa alle 16.05 della stessa giornata all’atto di un successivo controllo.

La difesa rilevava l’omessa motivazione in ordine al fatto che il ricorrente dormisse profondamente anche in conseguenza dell’assunzione di medicinali, per come risultante dalle dichiarazioni del padre e della moglie di costui, nonché in ordine all’esclusione – da parte della Corte d’appello, quale giudice della cautela che aveva operato la sostituzione della misura - della lieve entità del fatto giustificativa del disposto aggravamento.

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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La sentenza

La Corte di cassazione ha considerato immune da censure la motivazione dell’ordinanza impugnata sulla non sussumibilità della concreta condotta addebitata al ricorrente nel fatto di lieve entità di cui all’art 276 comma 1 ter c.p.p. e, con l’occasione, ha fornito chiarimenti in ordine alla ricorrenza dell’ipotesi idonea ad escludere l’aggravamento.

Orbene, la disposizione su menzionata prevede che “in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità”.

Con riferimento alla norma de qua mette conto di ricordare che fino all’entrata in vigore della L. n. 47 del 2015 la prevalente giurisprudenza aveva ritenuto che la trasgressione alle prescrizioni concernenti l’allontanamento volontario del soggetto dal luogo di esecuzione della misura comportasse la revoca degli arresti domiciliari e l’automatica disposizione della custodia in carcere.

Isolate erano le pronunce che escludevano l’automatismo richiedendo una valutazione in concreto del disvalore della condotta di trasgressione. Lungo queste linee interpretative si è mossa invece la modifica apportata all’articolo 276 c.p.p., comma 1-ter la quale ha temperato il rigido automatismo previsto e fatto concreta applicazione dei principi affermati nella sentenza 6 marzo 2002, n. 40 con la quale la Corte Costituzionale, pur ritenendo manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale di detta norma nella interpretazione datane dal diritto vivente, aveva individuato nell’apprezzamento di tutte le connotazioni, strutturali e finalistiche della condotta di trasgressione e nella necessità di verificarne i caratteri di effettiva lesività, il limite di ragionevolezza della norma e quindi la necessità che il tipo legale di violazione fosse costruito in base al criterio di necessaria offensività e di congruenza rispetto all’obiettivo di tutela ed alla connesse conseguenze sanzionatorie.

Muovendosi nel solco di tale interpretazione, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che la previsione di cui all’articolo 276 c.p.p., comma 1-ter non prevede un rigido meccanismo applicativo ma rimette al giudice di merito, che ha l’obbligo di fornire adeguata, corretta e logica motivazione, il giudizio (positivo o negativo) sulla possibilità di ricondurre la trasgressione alla prescrizione della permanenza nel domicilio all’ipotesi di fatto lieve, analizzando le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da essa desumibile e l’entità del danno o del pericolo che ne è derivato.

Nella sentenza in esame la Corte ha ribadito che in tema di violazione degli arresti domiciliari, il fatto di lieve entità di cui all’art. 276, comma 1-ter, c.p.p., si riferisce a violazioni di modesto rilievo ovvero a quelle che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità della misura degli arresti domiciliari a tutelare le esigenze cautelari come nel caso di imputato allontanatosi dal luogo di detenzione domiciliare e recatosi nella contigua abitazione dei genitori sita nel medesimo pianerottolo, per sottoporsi ad una visita medica non autorizzata.

Nel caso sottoposto al suo giudizio la Corte ha ritenuto che la dinamica dei fatti rendesse del tutto implausibili le giustificazioni addotte dal ricorrente, di essersi addormentato profondamente, salvo a voler credere che il medesimo si trovasse in uno stato (non provato) di vera e propria catalessi, tra l’altro in un momento in cui gli era stata affidata la figlia minorenne.

Condividendo le argomentazioni dei giudici della cautela in ordine all’impossibilità che l’imputato fosse dentro l’appartamento e non avesse sentito alcunché nonostante il ripetuto suono del campanello e le ripetute bussate con le mani, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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