Penale

Mettere a disposizione il conto per far confluire denaro provento di delitto costituisce riciclaggio

La condotta è punibile ex art. 648 bis c.p. perché ostacola l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari

Commette riciclaggio chi, senza concorrere nel reato di frode informatica, consenta il trasferimento sul proprio conto corrente del danaro con esso conseguito per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa (Cassazione penale, sentenza n. 29346/2023 - testo in calce).

Il fatto

Due persone venivano imputate per aver messo a disposizione il proprio conto corrente per farvi confluire il denaro proveniente dalle truffe perpetrate con il sistema c.d. man in the middle (letteralmente “uomo nel mezzo”, un tipo di attacco informatico in cui un soggetto segretamente ritrasmette o altera la comunicazione tra due parti, per lo più in rapporto commerciale, per farsi dare informazioni o versare danaro). Decidevano di patteggiare, impugnando successivamente la sentenza di applicazione della pena concordata ex art. 444 c.p.p. per erronea qualificazione del fatto come riciclaggio anziché come concorso in frode informatica, assumendo che la condotta fosse stata posta in essere per il perseguimento di un profitto.

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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La sentenza

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso avendo riguardo alle condotte descritte nel capo di imputazione, che non erano state contestate dai ricorrenti, e dalle quali emergeva che l’autore della frode informatica avesse già conseguito il profitto, provento del reato di frode informatica, percependo fraudolentemente le somme di denaro corrisposte dalle vittime di quel reato.

Come noto l’art. 640 ter c.p., punisce a titolo di frode informatica, «chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico e telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Il conseguimento del profitto costituisce pertanto il momento consumativo del reato in questione.

Orbene, poiché la percezione delle somme attraverso il delitto di frode informatica segna il momento consumativo del reato, nel caso all’esame della Corte le somme di denaro venivano trasferite sui conti correnti dei ricorrenti, quando il reato presupposto si era ormai perfezionato, in via autonoma e senza il contributo dei titolari dei conti correnti costituenti i recipienti delle somme di denaro provento di delitto.

Come noto, con riferimento al delitto presupposto è costante in giurisprudenza l’affermazione secondo cui non è necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storici e fattuali del delitto presupposto nè l’individuazione dei responsabili ma è sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo.

L’immissione del denaro sui conti correnti degli imputati, ponendosi a valle del reato produttore, costituiva una condotta, non già concorrente ma ulteriore e successiva rispetto a quella di frode informatica, finalizzata a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del danaro e, come tale, a configurare il reato di riciclaggio.

Quanto al concreto ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del bene, il criterio seguito in giurisprudenza è quello della idoneità ex ante della condotta: “ciò significa che l’interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base di precisi elementi di fatto se in quel momento l’attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersione di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva” (Cass. Pen., Sez. II, n. 16059/2020). Si evince, infatti, dal dato testuale della norma (là dove si parla di “ostacolare”) e dall’elaborazione giurisprudenziale in materia, che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, cosicché neppure rileva che le operazioni realizzate siano tracciabili, in quanto l’obiettivo illecito ben può essere realizzato anche attraverso condotte che non escludono affatto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene, dal momento che queste ultime evenienze non costituiscono l’evento del reato (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. II, n. 23774/2020).

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata o il proprio conto corrente per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate attraverso una frode informatica (Cass. Pen., Sez. II, n. 18965 del 21/04/2016).

Anche nel caso sottoposto al suo esame la Sezione assegnataria del ricorso, dopo aver tracciato il confine tra le due condotte individuando nella percezione delle somme il momento consumativo del reato presupposto (conseguimento del profitto ingiusto) e nella ricezione del danaro sul conto corrente la condotta ulteriore diretta alla “ripulitura” di quel danaro e come tale integrativa del riciclaggio, ha statuito che “integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari”.

Di qui l’inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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