Famiglia, minori e successioni

Spese per università privata e alloggio fuori sede: il padre deve sempre pagare la metà?

Non si applica sempre il criterio del riparto per metà perché in contrasto con l'art. 316 bis c.c., che prevede il concorso in base alle rispettive sostanze patrimoniali e capacità di lavoro

L’assegno di mantenimento per la prole è un importo fissato per il soddisfacimento dei bisogni ordinari dei figli. Tuttavia, esistono spese che non possono essere agevolmente “forfettizzate”, per questa ragione, i giudici stabiliscono che i genitori vi contribuiscano in proporzione alle proprie capacità (solitamente, nella misura della metà).

Nel caso di specie, nel corso di un procedimento per la revisione dell’assegno di mantenimento, i giudici diminuiscono l’importo dovuto dal padre a titolo di assegno, ma prevedono la contribuzione del 50% alle spese straordinarie. In particolare, si tratta del pagamento della retta dell’Università privata fuori sede e per il canone di locazione, ma l’uomo lamenta di non riuscire a far fronte a simili esborsi.

Se le spese per l’università privata fuori sede sono troppo esose per le capacità reddituali del padre, questi deve ugualmente contribuire?

La Corte di Cassazione, Sezione I, ordinanza del 30 maggio 2023 n. 15229 (testo in calce), ricorda che la valutazione è rimessa al giudice di merito, il quale deve utilizzare come criterio generale la comparazione dei redditi dei genitori e la proporzionalità nella partecipazione. Ciò vale anche con riferimento alle spese per il figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente. Nel caso di specie, il giudicante non ha quantificato, neppure in via approssimativa, gli esborsi necessari per l’ateneo privato e per il canone locatizio dell’alloggio e non ha considerato che tali costi sono più elevati di quelli necessari per la frequentazione di un’università pubblica in sede. Inoltre, non ha attribuito rilievo alla circostanza che il padre è gravato dal canone di locazione per la propria abitazione, non può detrarre il mantenimento e non percepisce gli assegni familiari. Secondo gli ermellini, la valutazione del giudice deve avvenire in concreto considerando le condizioni reddituali dei genitori per accertare se le spese siano (o meno) sostenibili. Per questa ragione, viene accolto il ricorso del padre e la decisione gravata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello.

Sommario

Famiglia e diritto, Direzione scientifica: Sesta Michele, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di dottrina e giurisprudenza. Profili sostanziali, processuali, successori e tributari del diritto di famiglia.
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La vicenda

Nell’ambito di un giudizio di revisione dell’assegno di mantenimento previsto a favore della figlia maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, il padre ottiene la riduzione dell’importo dovuto che è portato da 450,00 euro mensili e 300,00 euro, ma viene mantenuta la contribuzione delle spese straordinarie in ragione della metà per ciascun genitore. In particolare, gli esborsi riguardano le spese per le tasse universitarie, la retta dell’Università privata e il canone di locazione dell’alloggio fuori sede.

L’uomo ricorre in Cassazione, ritenendo il contributo cumulativo per assegno di mantenimento e spese straordinarie sproporzionato e insostenibile in base alle sue capacità reddituali.

Spese universitarie: la quota non è sempre della metà

La decisione gravata ha posto a carico del padre le spese universitarie in ragione della metà, l’uomo contesta la decisione, in quanto si è opposto alla scelta della figlia di frequentare un ateneo privato. Il giudice ha argomentato il proprio decisum affermando che seguire il corso di studi è nell’interesse della ragazza, in considerazione del suo pregevole percorso scolastico e del progetto di vita. Inoltre, afferma che il padre non abbia dimostrato l’impossibilità di sostenere l’onere relativo al pagamento della metà delle spese universitarie. Invero, la Corte di merito non ha considerato che l’uomo, insegnante come la ex moglie, è gravato dal canone di locazione per la propria abitazione, non può detrarre il mantenimento e non percepisce gli assegni familiari.

La Suprema Corte considera fondata la doglianza.

Gli ermellini ricordano che le “spese straordinarie” in senso stretto sono solo quelle che per rilevanza, imponderabilità e imprevedibilità esulano dal regime “ordinario” di vita della prole. Per tale ragione, non è possibile inserirle nel calcolo dell’assegno periodico e sono disciplinate in maniera autonoma rispetto a quest’ultimo (Cass. 40281/2021).

Per quanto riguarda il pagamento pro quota, non sempre è in ragione della metà per ciascun genitore, ma nella ripartizione occorre tenere conto delle rispettive sostanze e della capacità di lavoro. Infatti, non trova applicazione il criterio generale della ripartizione per metà del debito solidale, in quanto risulta in contrasto con quanto disposto dall’art. 316 bis c.c. a mente del quale, ai fini della determinazione della misura del concorso dei genitori nell’obbligo di mantenimento, trova applicazione il duplice criterio basato sulle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e sulla rispettiva capacità di lavoro professionale o casalingo (Cass. 25723/2016).

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Le spese routinarie e le spese straordinarie in senso stretto

La giurisprudenza ha chiarito che nella contribuzione per spese straordinarie rientrano diverse voci:

a) le spese routinarie per i bisogni ordinari del figlio; si tratta di esborsi certi nel loro costante e prevedibile ripetersi a intervalli più o meno lunghi; tali spese integrano l’assegno di mantenimento e ne condividono la natura, si pensi alle spese di istruzione, a quelle connesse e alle spese mediche ordinarie; esse sono sostanzialmente certe, indeterminate nel quantum ma non nell’an; ad esempio, spese per l’acquisto di occhiali; visite specialistiche di controllo; pagamento di tasse scolastiche;

b) le spese straordinarie in senso stretto, ossia gli esborsi imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare che, in quanto tali, recidono «ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento» (Cass. 379/2021).

Le prime (sub a) sono da considerarsi integrative dell’assegno di mantenimento e, per il loro carattere routinario, possono ritenersi fondate sul titolo giudiziale contenente la condanna alla corresponsione del contributo al mantenimento.

Le seconde (sub b), per la loro azionabilità, richiedono l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento.

Come vanno ripartite le spese extra tra i genitori?

La quantificazione della contribuzione straordinaria non assolve una funzione meramente perequativa – come l’assegno di mantenimento – dal momento che la sua funzione consiste nell’assicurare la provvista per specifiche esigenze della prole, che siano proporzionate al suo interesse. Naturalmente, tale valutazione è rimessa al libero apprezzamento del giudice di merito che deve stabilirne la ripartizione. Come ricordato, il criterio generale da adottare riguarda la comparazione dei redditi dei genitori e la proporzionalità nella partecipazione.

Gli ermellini chiariscono che a carico del coniuge collocatario della prole non è sempre configurabile un onere di preventiva informazione e concertazione delle spese straordinarie, tuttavia, in caso di mancanza di accordo e di rifiuto di rimborso, spetta al giudice verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, avendo cura di commisurare «l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori» (Cass. 50597/2021; Cass. 19607/2011; Cass. 16175/2015). Ciò, salvo che l’altro genitore non abbia tempestivamente manifestato un valido e motivato dissenso (Cass. 15240/2018).

Conclusioni: accolto il ricorso del padre

Secondo gli ermellini, la decisione gravata non ha dato corretta applicazione ai principi sopra esposti. Da una parte è incontestata la sussistenza dell’interesse della figlia alla frequentazione della facoltà di economia e commercio, ma dall’altra la misura della partecipazione del padre (50%) appare fondata su una “petizione di principio”. Infatti, i giudici non hanno provveduto alla concreta quantificazione, neppure in via approssimativa, delle spese che potevano considerarsi accoglibili, pertanto, la valutazione sulla congruità della commisurazione della quota rispetto alla capacità reddituale dell’altro genitore risulta svolta in modo astratto e avulsa dalla situazione concreta.

I giudici di merito non hanno considerato che le spese per la frequentazione di un’università privata sono considerevolmente più elevate rispetto a quella pubblica, oltretutto fuori sede. Inoltre, non hanno attribuito rilievo al fatto che il genitore non poteva godere di sgravi o detrazioni fiscali che alleggeriscano l’impegno economico.

In conclusione, il decreto impugnato viene cassato con rinvio alla Corte d’Appello che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese di legittimità.

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