Amministrativo

Attualità del codice di Camaldoli

Redatto nel 1943, contiene una serie di principi dell’ordinamento sociale che entreranno a far parte della Costituzione italiana

Si è svolto a Camaldoli (AR) dal 21 al 23 luglio 2023 un importante convegno a ricordo degli 80 anni dalla stesura di un documento, noto come codice di Camaldoli. Il “codice” è stato redatto da importanti studiosi nel 1943 e contiene una serie di principi dell’ordinamento sociale che, in seguito, confrontati in sede di Assemblea Costituente, entreranno a far parte della Costituzione italiana.

Sommario

  1. Il ricordo di giornate memorabili. Intellettuali chiamati a raccolta
  2. Il codice: un ponte nel presente
  3. La struttura del codice: premessa
  4. Le sezioni del codice: lo Stato
  5. La famiglia
  6. L’educazione
  7. Il diritto al lavoro
  8. Destinazione e proprietà dei beni materiali, produzione e scambio
  9. L’attività economica pubblica
  10. La vita internazionale
  11. Riflessioni finali

1. Il ricordo di giornate memorabili. Intellettuali chiamati a raccolta

Dal 18 al 24 luglio del 1943, nella cornice del monastero di Camaldoli, proprio alla vigilia della caduta del fascismo, esperti di diverse discipline furono chiamati, in forma riservata, dal segretario generale dei Laureati cattolici e Direttore dell’ICAS Vittorino Veronese, a elaborare un breve contributo scritto per affrontare i problemi sociali ed economici della ricostruzione del Paese, convinti ormai dell’imminenza della fine del conflitto mondiale e del futuro politico che ne sarebbe seguito; si trattava comunque di eventi culturali che si ripetevano e che chiamavano a raccolta soprattutto le giovani generazioni di intellettuali (le c.d. Settimane di studi).

Nella realtà, si trattò di una bozza di 76 “enunciati di carattere provvisorio” perché, anche a causa degli eventi bellici, il documento, aggiornato ed integrato anche da altri esperti di scienze sociali e giuridiche e di economia, organizzati in “vari Comitati di redazione”, fu pubblicato nel 1945[1].

Questi incontri nacquero dalla constatazione che, dopo l’esperienza della dittatura, si doveva preparare il terreno sociale, culturale e giuridico per un nuovo Stato, fondato sulla libera partecipazione dei cittadini alla vita democratica; ma anche su un nuovo modo di intendere l’economia, riconoscendo la funzione sociale della proprietà privata e l’intervento diretto dello Stato, nei settori dove sarebbero stati necessari interventi pubblici. Non si ragionava, cioè, soltanto dei limiti dell’intervento dello Stato, secondo una concezione liberale, ma si delineava uno Stato promotore della giustizia sociale, secondo considerazioni quanto mai attuali.

Dunque, il quadro storico in cui vengono elaborati i nuovi principi è estremamente difficile, segnato dalle dure restrizioni imposte dal regime e dal conflitto armato in atto (compresa l’occupazione tedesca); ciò nonostante,  gli ideali di democrazia e di difesa dei diritti umani, mai sopiti, tornano alla ribalta e si comincia (finalmente!) ad immaginare un nuovo ordinamento sociale, profondamente diverso da quello avuto fino ad allora.

2. Il codice: un ponte nel presente

Il codice di Camaldoli,  ci pare, costituisca ancora oggi, come allora, un ponte tra la cultura cattolica e le altre culture protagoniste della vita sociale in Italia, per potere dialogare, anche nel presente, delle strutture fondamentali del vivere civile, attraverso la promozione di azioni che tutelino effettivamente i diritti delle persone, specialmente se fragili; anche nel contesto attuale, di rivendicazione dell’autodeterminazione del soggetto in ogni campo, nel dibattito necessario, sembra utile partire da radici profonde e definite, recidendo, semmai, i rami ormai divenuti ingombranti o senza frutto.

I protagonisti di Camaldoli seppero trasferire nel linguaggio (scientifico)  della disciplina loro affidata importanti elementi  della dottrina sociale della Chiesa, testimoniando la vitalità  e l’attualità degli insegnamenti di una storia secolare, ben consapevoli del valore della laicità dello Stato che deve essere aperto a tutte le istanze.

Sia chiaro, il contesto istituzionale e statale in cui furono applicati i principi sociali, pur con un continuo rinvio ad essi, imponeva agli studiosi sia una grande libertà di pensiero che una lucida capacità di “elaborazione scientifica”; elementi, questi ultimi, che portarono i loro frutti nel momento della traduzione in atti giuridici.

Nel dare conto, per grandi linee, del contenuto del codice si rinvia, per le considerazioni critiche, all’intenso dibattito del convegno sopra richiamato[2].

3. La struttura del codice: premessa

Il codice si compone di sette sezioni, con una introduzione, una presentazione e una postfazione (in tutto 99 paragrafi): I. Lo Stato – II. La famiglia – III. L’educazione – IV. Il lavoro – V. Destinazione e proprietà dei beni materiali: produzione e scambio – VI. L’attività economica pubblica – VII. La vita internazionale.

Avvertono i compilatori che “non intendono offrire un complesso di formule apodittiche e un corpo di dottrina definito”, ma “un orientamento … di fronte alla complessità e alla difficoltà dei problemi che una realtà in evoluzione radicale continuamente ripropone” e pertanto si auspica il confronto, con le critiche e le proposte. Proprio da questo confronto in Assemblea Costituente, dove saranno presenti diversi estensori del codice, scaturiranno i principi fondamentali della Costituzione italiana.

Il codice parte da una premessa “forte” indicando il fondamento spirituale della vita sociale, in una comunità ormai smarrita e prigioniera di logiche di conquista e di potere; è questo il punto in cui il discorso degli esperti segna una rottura con il passato e si ritorna a parlare di dignità dell’uomo, cioè di un mondo degno dell’uomo, (umiliato dalle persecuzioni razziali e dallo statalismo), fondato sulla giustizia, ma anche sulla carità verso il prossimo, in un contesto nazionale e internazionale.

La sanguinosa lotta di liberazione dal nazifascismo, intensificata dopo l’8 settembre del ’43, fortificò questi ideali e li rese patrimonio comune.

4. Le sezioni del codice: lo Stato

Lo Stato (sez. I) viene visto come un organo di garanzia che tutela e armonizza le libere attività umane, le quali sono “indipendenti nella loro natura dallo Stato stesso”, ordinandole secondo il principio del bene comune, ma a condizione del rispetto della persona umana che deve “conseguire la sua perfezione fisica, intellettuale e morale… ora dando e ora ricevendo per il bene suo e degli altri”.

Ma lo Stato è anche promotore della giustizia sociale “in modo che siano eliminate le situazioni di privilegio derivanti da differenze di classe, di ricchezza, di educazione e simili”; i cittadini devono partecipare alle forme giuridiche dell’attività legislativa, amministrativa e giudiziaria  e designare gli investiti della pubblica autorità; pertanto essi devono potere esercitare le indispensabili libertà politiche, la libertà di stampa, di riunione e di associazione, tutelando la libertà delle coscienze “fino all’estremo limite della compatibilità col bene comune”.

5. La famiglia

La famiglia (sez. II) è qui presentata come base di ogni sano ordinamento sociale secondo l’impostazione del diritto canonico e come istituto della legge naturale, ma si avvertono segnali di decadimento; le politiche familiari proposte nel documento risentono indubbiamente del contesto storico in cui si era evoluta la famiglia patriarcale in Italia; pur tuttavia si prende coscienza dell’autonomia e della responsabilità del “nucleo familiare” rispetto alla sua “rete” di legami, perché “ogni ulteriore ampliamento della struttura e della coscienza familiare non è, rispetto alla natura, né essenziale, né necessario, ma è il portato della vita storica della famiglia in un determinato ambiente sociale” (par. 25).

6. L’educazione

Il tema dell’educazione (sez. III) si sviluppa intorno al valore e al fine della persona umana ed è liberato dalle ideologie, fino ad allora imperanti , della sua subordinazione a “qualunque collettività: classe, razza, nazione, Stato, umanità ”; viene auspicata una collaborazione scuola-famiglia nell’educazione dei figli e l’istituzione di “un numero sufficiente di scuole per la formazione dei cittadini”; ma viene reclamato il diritto della “libertà della scuola” e un insegnamento, anche filosofico, che non si riduca “a far studiare … gli svariati sistemi discordanti, opposti, spesso difficili ad intendersi…” senza aver data “una preparazione sistematica fondamentale”; viene raccomandata, infine, per la ricerca scientifica e la cultura superiore “una vita autonoma e la indipendenza da ogni indebita influenza politica e della pubblica amministrazione”.

7. Il diritto al lavoro

È reclamato il diritto al lavoro, che diverrà “bene costituzionale”, (sez. IV) “per conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della famiglia” (cfr. art. 36 co. 1 Cost.), ma anche l’esercizio dei diritti ad esso collegati, consentendo al lavoratore “di partecipare effettivamente ed attivamente, attraverso appropriati istituti, alla formulazione delle condizioni di lavoro e alla determinazione dei criteri di retribuzione” e “adoperarsi per il buon andamento aziendale, anche al di fuori dello specifico compito ad essi assegnato”.

Sono presentate proposte per il risparmio individuale e per la previdenza in caso di disoccupazione, invalidità e vecchiaia del lavoratore (par. 58); viene posta al centro la tutela della salute fisica del lavoratore (par. 59) e il lavoro della donna (par. 60); la disponibilità da parte del lavoratore di una casa è una priorità da risolvere con investimenti della collettività (par. 61) e con adeguate politiche di decentramento urbano, che però non mortifichino il naturale senso di socialità; l’urbanesimo deve essere connesso al lavoro e allo sviluppo delle “minori comunità intermedie che costituiscono il più valido presidio delle libertà”; si raccomanda la specializzazione dei lavoratori e la piena utilizzazione delle loro capacità (par. 65) e ove possibile la cooperazione e la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale e la promozione delle associazioni professionali; si immaginano tentativi obbligatori di conciliazione nei conflitti di lavoro e magistrature dello Stato con apposito ordinamento (par. 70).

Come si vede, ad ottanta anni di distanza, il pensiero dei protagonisti del codice di Camaldoli risponde alle esigenze anche della nostra era industriale.

8. Destinazione e proprietà dei beni materiali, produzione e scambio

Il capitolo della destinazione e proprietà dei beni materiali, produzione e scambio (sez. V) si occupa della destinazione dei beni materiali a vantaggio comune di tutti gli uomini, in una logica di collaborazione tra i gruppi sociali, ma anche con intervento di mediazione o diretto dell’autorità nelle attività economiche; si riconosce la proprietà privata e la proprietà collettiva (par. 72) con approfondimenti motivazionali nel campo della legge naturale, da cui si ricava il principio che “la proprietà privata dei beni strumentali ha una funzione sociale” e pertanto occorre ricercare “la più appropriata utilizzazione dei mezzi di produzione… in relazione ai bisogni comuni” (par. 74) (cfr. art. 42 Cost.).

9. L’attività economica pubblica

L’attività economica pubblica (sez. VI) è coordinata con l’iniziativa privata.

Lo Stato: favorisce la formazione professionale dei giovani e disciplina lo statuto professionale dei lavoratori, “promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune”; incentiva la struttura agraria fondata sulla piccola proprietà, tenuto conto delle particolari colture ed esigenze tecniche; corregge le eccessive disparità economiche; regola la concorrenza; tutela il risparmio; mediante l’attività finanziaria, raccoglie i mezzi necessari per organizzare e per sostenere la spesa pubblica (par. 86), “in rapporto al bisogno di ognuno, in modo che al maggiore bisogno corrisponda una maggiore prestazione di servizi pubblici”, con l’accorgimento che “l’altezza dell’imposizione deve essere regolata in modo da non opprimere il soggetto” (par. 92. limite dell’azione finanziaria); mediante la funzione fiscale opera anche  una redistribuzione di beni a favore di categorie svantaggiate (par. 93. funzione extra-fiscale del tributo).

10. La vita internazionale

L’ultima sezione è dedicata alla vita internazionale (sez. VII).

La necessità delle relazioni internazionali nasce dagli interessi comuni dei popoli, che così realizzano le proprie finalità anche mediante la costituzione di organizzazioni internazionali.

Nel contesto del secondo conflitto mondiale, ovviamente, il tema è prioritario, laddove “la volontà di vivere di una Nazione non deve mai corrispondere alla sentenza di morte per un’altra …con la rinuncia a sistemi e pratiche che mirino a diffondere l’odio tra i popoli … procedendo con serietà e onestà ad un effettivo disarmo, mutuamente consentito” (par. 97).

11. Riflessioni finali

Le proposte sviluppate nel codice hanno le radici certamente nella immane tragedia della seconda guerra mondiale, che rese palese ai popoli come certe ideologie dei primi del Novecento si erano materializzate in distruzioni, violenze e morte, perché la persona umana era scomparsa dalle visioni del totalitarismo. Nel codice emergono nuovamente i valori della persona umana, dei gruppi intermedi, delle rappresentanze democratiche, della tolleranza, della libertà; tali valori vengono fissati, come monito perenne, nelle carte costituzionali di numerosi Paesi coinvolti nel conflitto mondiale.

Lo Stato, secondo gli autori, vive nella società civile e non può sostituirsi ad essa (come accade, ancora oggi, nei regimi totalitari); é da essa che trae la linfa vitale affinché i diritti fondamentali proclamati siano realmente resi effettivi, secondo le istanze e le condizioni storiche, in equilibrio con le istanze comuni.

Il codice di Camaldoli, ci pare, è un manifesto di libertà responsabile, che coniuga brillantemente i diritti e i doveri dei singoli con la vita dello Stato, il quale è chiamato a dialogare perennemente con i cittadini; i suoi autori, pur di ispirazione cattolica, furono laici autentici che seppero confrontarsi lealmente e apertamente con i loro interlocutori di altra ispirazione (liberale, repubblicana, socialista e comunista), presenti nell’Assemblea Costituente, e con i quali avevano condiviso la lotta partigiana; così vide luce la Costituzione italiana.

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[1] I.C.A.S., Per la comunità cristiana, principi dell’ordinamento sociale, Editrice Studium, Roma, 1945; i redattori furono, tra altri, Sergio Paronetto, Ludovico Montini, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi; per la genesi del Codice, v., Campanini, G., Dal Codice di Camaldoli alla Costituzione (I cattolici e la rinascita della democrazia).

[2] In margine al Convegno celebrativo del codice di Camaldoli, cui hanno partecipato illustri ospiti, in attesa della pubblicazione degli Atti, si segnala il messaggio del presidente della Repubblica, on. Sergio Mattarella, che ha presenziato (www.avvenire.it/attualita/pagine/mattarella-codice-di-camaldoli).

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