Penale

La tutela dei detenuti lavoratori: normativa e questioni aperte

Analisi della normativa penitenziaria concernente il lavoro intra ed extra-murario, alla luce delle modifiche apportate dai Decreto legislativo n. 124/2018

Il lavoro all’interno della Repubblica italiana assolve un duplice compito.

Questo si configura sia come un diritto, sia come un dovere in capo al cittadino (art. 4 Cost.). Il lavoro è un diritto in un’ottica personalistica, in quanto consente l’affermazione della personalità del singolo ed è un dovere in un’ottica solidaristica, poiché «espressione primaria della partecipazione del singolo al vincolo sociale» (D. Chinni, Dopo la Riforma, I diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, in Diritto penitenziario e Costituzione 9/I, Napoli, 2019, pp. 13-14.).

In ambito penitenziario, in epoca pre-repubblicana il lavoro veniva concepito in un’ottica punitiva, anzi era «un mezzo (ulteriormente) sanzionatorio adottato nei confronti dei detenuti» (Ibidem).

L’avvento della Costituzione, con la centralità da essa data al binomio libertà-dignità umana, insieme ai principi di umanizzazione e rieducazione, contenuti nell’art. 27 terzo comma Cost., ha cancellato il regime del lavoro forzato, trasformando il carcere in un luogo dell’ordinamento costituzionale, nel quale i diritti individuali e collettivi devono essere garantiti.

Il legislatore ha modificato la normativa sul lavoro penitenziario, precedentemente disciplinata dal Regolamento fascista del 1931, con la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (L. 26 luglio 1975, n. 354 d’ora in avanti o.p.), modificata nel corso del tempo, tra le altre, dalla c.d. legge Gozzini (L. 10 ottobre 1986, n. 663) e di recente dai d.lgs. 2 ottobre 2018, nn. 121, 123 e 124 del 2018, l’ultimo dei quali in larghissima parte dedicato proprio al lavoro dei detenuti.

Da tali modifiche si evince come il lavoro penitenziario perda i suoi connotati afflittivi, venendo invece concepito in un’ottica rieducativa, in quanto deve essere garantito al condannato e all’internato, salvi i casi di impossibilità (art. 15, comma 2, o.p.).

Il successivo art. 20, poi, pone le basi per lo sviluppo di questa nuova concezione del lavoro penitenziario, ulteriormente attuata dai successivi articoli del medesimo o.p., oltre che dal Regolamento di esecuzione (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), poiché stabilisce che il lavoro deve essere remunerato (art. 20, comma 2) e che deve avere, nell’organizzazione e nei metodi, le caratteristiche «del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale» (art. 20, comma 3).

Il lavoro penitenziario conserva dei caratteri speciali, a causa dello status del detenuto, ma il D.lgs. 124/2018 ne ha abrogato l’obbligatorietà (art. 20, comma 3, o.p), in quanto incompatibile con l’adesione spontanea del detenuto allo stesso, posta alla base del carattere rieducativo del trattamento. Tuttavia, tale decisione ha trovato dei limiti dati dalla presenza all’interno del codice penale (artt. 22, 23, 25) e del regolamento del 2000 (art. 77, comma 1), di diciture, richiamanti l’obbligatorietà del lavoro penitenziario.

Tale contrasto si è risolto a livello interpretativo considerando tacitamente abrogate le norme del codice penale e disapplicate quelle regolamentari. Inoltre, pur essendoci una valorizzazione delle competenze lavorative del detenuto, rimane sempre l’amministrazione penitenziaria, attraverso un’apposita commissione (art. 20, comma 4), a farsi carico dell’assegnazione lavorativa, dopo aver formato due elenchi, uno generico e l’altro per qualifica (art. 20, comma 5, lett. a).

Difatti è l’amministrazione penitenziaria a decidere, se il detenuto debba svolgere il lavoro all’interno dell’istituto penitenziario (lavoro intramurario), oppure all’esterno (lavoro extra-murario) e tale decisione produce effetti sull’esecuzione della pena.

Il lavoro intramurario è, per così dire, la modalità tradizionale di svolgimento di attività lavorativa da parte dei detenuti e può avere come datore di lavoro tanto l’amministrazione penitenziaria, quanto imprese pubbliche o private. Il lavoro intramurario ha sempre natura di lavoro subordinato e per questo il detenuto-lavoratore deve poter usufruire di tutte le tutele tipiche del lavoratore subordinato.

Mentre, al lavoro extra-murario possono essere assegnati tutti i detenuti, con il solo limite per i responsabili di reati più gravi e condannati all’ergastolo, di potervi accedere con la condizione di espiare parte della pena (art. 21 o.p.).

Non è in questione la fonte del rapporto di lavoro extra-murario, essendo lo stesso di carattere privatistico e trovando fondamento nell’art. 2094 c.c. Inoltre, risulta evidente la sua portata risocializzante, perché, «l’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dell’istituto, nella comunità sociale e “gomito a gomito” con lavoratori liberi, è la modalità che assicura il minor scarto possibile con il lavoro “libero”» (Ibidem).

Infine è opportuno accennare ai profili di specialità del lavoro penitenziario che sono stati specificati in sede costituzionale. Inoltre è fondamentale ricordare la modifica della retribuzione (prevista dall’art. 20 o,p), disciplinata dall’art. 22 o.p.: «la remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria è stabilita, in relazione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, nella misura fissa pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro».

Tale norma pone un dubbio di legittimità costituzionale, perché sembra autorizzare una squalificazione del lavoro intramurario, vanificando il richiamo alla quantità e alla qualità del lavoro attraverso il riferimento al CCNL.

Tuttavia, la Corte rigettava la questione di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 36, considerando la riduzione subita dai detenuti, rispetto alla normale retribuzione riconosciuta al lavoratore libero per la medesima prestazione, parte del carattere speciale del lavoro intramurario alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.

Infine il legislatore è intervenuto, colmando un’omissione legislativa, dichiarata costituzionalmente illegittima, dalla sentenza n. 158 del 2001 e concedendo il diritto alle ferie (contemplato al comma 13) al detenuto-lavoratore, modificando, attraverso il D.lgs. 124/2018, il testo originario dell’art. 20 o.p., il quale garantiva il solo riposo festivo (comma 17).

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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