Penale

Divieto di comunicare con persone estranee al nucleo familiare: no all'applicazione d'ufficio

In caso di arresti domiciliari, il giudice non può imporre limiti o divieti di comunicazione senza richiesta del pubblico ministero (Cassazione penale, sentenza n. 51573/2023)

Il giudice non può applicare d'ufficio i limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o lo assistono, ex art. 284, comma 2, c.p.p.

Questo è quanto emerge dalla sentenza 28 dicembre 2023, n. 51573 (testo in calce) della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso vedeva un imputato essere sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, con conseguente applicazione d'ufficio della ulteriore misura del divieto di comunicazione con persone diverse da quelle che con il medesimo coabitavano o lo assistevano.

Con ricorso per cassazione l'imputato lamenta proprio l'automatica applicazione del divieto di cui all'art. 284, comma 2, c.p.p., la quale avrebbe, invece, necessitato di una autonoma richiesta cautelare da parte del pubblico ministero che, nello specifico, non era stata avanzata.

Per consolidato principio generale, le restrizioni che contribuiscono ad inasprire il grado di afflittività della misura cautelare debbono essere considerate esse stesse restrizione alla libertà personale e, come tali, sono suscettibili di autonomo controllo giurisdizionale anche di secondo grado e poi di legittimità (Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 1997, n. 24; Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 2013, n. 17950).

Detto principio generale trova applicazione anche nei casi di restrizione della facoltà di comunicazione di cui all'art. 284, comma 2, c.p.p.; il divieto di comunicare con persone estranee al nucleo familiare, infatti, pur accedendo alla misura coercitiva degli arresti domiciliari, ha una sua propria autonomia, trattandosi non di mera modalità accessoria, ma di una prescrizione dotata di specifica ed aggiuntiva efficacia afflittiva (Cass. pen., Sez. IV, 7 marzo 2017, n. 20380).

Conseguentemente, i limiti e i divieti alla comunicazione del soggetto nei cui confronti è adottata la misura cautelare degli arresti domiciliari debbono essere anch'essi oggetto di specifica conforme richiesta da parte del pubblico ministero (Cass. pen., Sez. V, 30 marzo 2011, n. 13271).

Ne consegue che, in assenza della corrispondente “domanda cautelare”, il giudice non può adottare d'ufficio tale peculiare autonoma forma di ulteriore e più intensa restrizione di libertà personale, sicché è nulla, ai sensi dell'art. 178, lett. b) e 179 c.p.p., l'imposizione di limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono che non sia preceduta dalla corrispondente richiesta del pubblico ministero (Cass. pen., Sez. II, 27 novembre 2014, n. 53671).

Nella fattispecie, i giudici del merito non si erano conformati ai suddetti principi di diritto e confermavano la misura degli arresti domiciliari anche nella parte in cui prescriveva all'indagato di non comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono, pur risultando che la domanda cautelare del pubblico ministero di applicazione della suddetta misura non conteneva anche la specifica richiesta di prescrizione relativa alla restrizione della facoltà di comunicazione prevista dall'art. 284, comma 2, c.p.p. 

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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