IP, IT e Data protection

Lettera ad un avvocato civilista preoccupato dall'intelligenza artificiale

Qualunque cosa si pensi dell’AI, il diritto deve restare una risorsa prodotta da esseri umani per tutti gli altri esseri umani

Questo piccolissimo articolo vorrebbe, a quasi trent’anni di distanza, echeggiare la ben più importante Lettera a un notaio curioso di trusts di Maurizio Lupoi: Rivista del notariato, fascicolo 3/1996, pag. 343.

Vi sono molti tipi di intelligenza artificiale (AI). Alcuni promettono considerevoli miglioramenti in diversi settori dell’attività forense, dai rapporti con i Clienti alla ricerca. Progressi incrementali, però, non rivoluzioni epocali, e quindi nulla di cui mi paia urgente occuparsi. Rivoluzionaria è invece l’AI generativa, che consente di produrre in forma largamente automatizzata testi di ogni tipo, ivi compresi pareri ed atti giudiziari.

Per fare AI generativa occorrono fondamentalmente quattro cose: dati (tanti; più sono e meglio è), addestramento, potenza di calcolo ed energia. La questione si pone in termini radicalmente diversi per i grandissimi studi legali e le realtà di minori dimensioni.

I grandi studi dispongono di imponenti archivi di documenti già prodotti, e per di più si tratta di collezioni fortemente focalizzate su materie specifiche, miniere ricchissime di informazioni sui temi di loro interesse. I dati che già hanno in casa sono quindi sufficienti, e non debbono porsi il problema di acquisirne altrove. Non è poi per loro difficile reclutare persone qualificate da adibire all’addestramento dei sistemi, che cioè correggano le risposte che il sistema restituisce in una fase iniziale sul suo sviluppo, così migliorando le sue prestazioni. Forse (è l’approccio cosiddetto misto) aggiungeranno regole formali e rigide a quelle, meno granitiche, che l’AI scopre da sé scandagliando i dati. Computers ed energia non saranno un  problema, anche perché gli archivi su cui lavorare, per quanto vasti a standard umani, non sono neppure paragonabili alla massa di dati presente sul  Web, su cui lavorano i sistemi di uso generale come Bard, Copilot o ChatGPT. Immagino che i grandi studi avranno presto (e forse qualcuno ha già) sistemi capaci di produrre in forma automatizzata, se non testi fatti e finiti, pronti per una lauta fattura, almeno semilavorati eccellenti.

Non sono dunque preoccupato per i pesi massimi, ma per la vitalità dei nostri sistemi giuridici. È facile immaginare che gli investimenti più copiosi saranno diretti verso le giurisdizioni più importanti. Se, con spesa analoga, si può creare un sistema capace di produrre eccellenti contratti di diritto greco o di diritto dello Stato di New York, non penso che vi siano dubbi sulla scelta. Ne conseguirà però che al cliente saranno prospettati tempi e costi minori per un contratto in salsa americana: per quanti possono scegliere (quasi tutte le parti di contratti commerciali internazionali, per cominciare) la tentazione sarà formidabile. Ciò potrà accadere non solo nei grandi studi, ma anche in quelli più piccoli (ne parleremo tra un istante) che si avvarranno di servizi di AI commerciali o condivisi. Credo che il rischio sia evidente: una (ulteriore?) colonizzazione giuridica, che si può tentare di prevenire solo intensificando gli investimenti su sistemi focalizzati sul diritto europeo.

Le realtà professionali che non possono vantare il glamour dei grandi studi internazionali non sono però meno rilevanti per il nostro discorso. Forse lo sono anche di più.

In primo luogo perché un Paese civile ha bisogno di un sistema giuridico ben funzionante in ogni angolo del suo territorio ed al servizio della popolazione tutta, non di un club di privilegiati. Sono convinto, in particolare, che l’efficienza della giustizia civile dipenda più dal buon funzionamento delle professioni legali che dalla qualità dei giudici. Anche se buoni od eccellenti, come ovunque ve ne sono presso le magistrature europee, possono operare al meglio solo in presenza di avvocature preparate, orgogliose e ben remunerate, capaci di filtrare le questioni che non hanno bisogno di un’aula di giustizia e, nei casi che davvero non ne possono fare a meno, di presentare i casi in modo da non impiegare inutilmente il tempo dei giudici.

In secondo luogo, gli studi non grandissimi mancano delle risorse economiche necessarie, ed ancor più serio è il problema dei dati. I dati sono il petrolio del secolo nostro è ormai divenuto un tormentone, ma non so se nel ripeterlo se ne considerino davvero le implicazioni. Gli studi più piccoli e meno specializzati posseggono meno dati ma, paradossalmente, ne hanno bisogno in maggior quantità, poiché debbono coprire un più vasto ventaglio di materie.

Vengo qui al punto a mio avviso più delicato. Dare in pasto dati (di qualità) ad un sistema di AI, addestrarlo a svolgere le  funzioni che gli assegniamo, significa trasferire alla macchina il know-how di uno o più professionisti. Trasferimento da chi a chi, ed a quali condizioni?

In Cina verosimilmente il problema non si pone. Se la leadership lo ritiene opportuno, qualunque dato è reso istantaneamente accessibile per l’impiego desiderato, per rescriptum principis. Questo, sia detto per inciso, sembra offrire proprio ai regimi totalitari un vantaggio competitivo in ambito AI. Per motivi diversi, neppure i grandissimi studi legali occidentali hanno motivo di preoccuparsene: useranno esclusivamente dati propri, cui nessun altro avrà accesso. Negli altri casi occorre invece riflettere sulla sorte del know how accumulato dal professionista.

Quali soluzioni? Possiamo immaginare spontanee integrazioni orizzontali di professionisti sufficientemente omogenei, che pongano a fattor comune il loro sapere su base di reciprocità. O grandi operatori internazionali che offrano commercialmente sistemi addestrati su dati raccolti presso professionisti disposti a cederli a pagamento. C’è forse spazio, specie nei Paesi di dimensioni più modeste, per iniziative collettive del corpo professionale.

L’alleanza orizzontale tra professionisti sarebbe a mio avviso la soluzione più sana, poiché realizzerebbe una volontaria condivisione del know how tra professionisti, senza dispersione all’esterno della categoria professionale e senza fenomeni di free riding, l’utilizzo cioè dei sistemi da parte di soggetti che non hanno contribuito al loro sviluppo. Probabilmente, però, è anche quella di più difficile realizzazione.

In molte giurisdizioni si sta affrontando il problema delle consulenze giuridiche online offerte commercialmente da sistemi di intelligenza artificiale. La liceità di tali servizi varia di luogo in luogo. Intravedo però un incubo persino peggiore. L’idea che dinanzi ad ogni McDonald’s apra un McLawyer ove improbabili professionisti si limitino a interrogare un sistema commerciale di AI, girando acriticamente le risposte ai clienti. Un incubo, dicevo, per almeno due ragioni.

Un sistema legale non evolve soltanto per effetto di nuovi testi normativi specifici. Il diritto vivente progredisce anche ad opera di donne ed uomini intellettualmente evoluti, che vivono il loro tempo, hanno capacità di visione e sogni (sì, sogni); uomini e donne capaci di introdurre nell’esperienza giuridica nuovi valori e nuove priorità, che circolando per osmosi nella globalità di un sistema, lo sospingono verso il futuro. Nulla di tutto questo, mi pare, si può chiedere all’AI, almeno nell’immediato.

Lo svilimento (anche, ma non solo, economico) delle prestazioni legali rischia poi di rendere le liti troppo accessibili. Un esperto tedesco già nel settembre 2023 mi parlava di evidenze aneddotiche di un incremento del contenzioso dovuto alla facilità con cui si può redigere una citazione con l’AI. In verità mi sembra un po’ presto, ma se non è ancora accaduto può certamente accadere a breve. Quel che è peggio, potrebbe darsi una reazione simmetrica: una crescente adozione di AI per decidere i contenziosi, in una possibile rincorsa a spirale.

L’AI non va demonizzata, ma un futuro ove l’esperienza giuridica sia vissuta (se di vivere si può parlare) in un circuito chiuso di macchine mi sembra una prospettiva distopica degna di The Matrix. Qualunque cosa si pensi dell’AI, credo si possa convenire che il diritto deve restare una risorsa prodotta da esseri umani per tutti gli altri esseri umani.

>> Vedi anche:

La via europea per l'Intelligenza artificiale. Atti del Convegno del Progetto Dottorale di Alta Formazione in Scienze Giuridiche - Ca' Foscari Venezia, 25-26 novembre 2021, A cura di: Camardi Carmelita, Ed. CEDAM, 2023. Il volume affronta la sfida per il futuro rappresentata dal bilanciare adeguatamente i benefici apportati dall’utilizzo dell’Intelligenza artificiale con i diritti fondamentali delle persone, mirando a non ostacolare lo sviluppo tecnologico ma garantendo al contempo un’innovazione responsabile.
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