Contratti

Le postille postume

Cosa prevede la legge notarile e quali sono i profili di responsabilità penale, disciplinare e civile del notaio

Il termine “postilla” (dal latino “dopo quelle” parole) nel linguaggio giuridico indica un’aggiunta a un atto pubblico, a scopo di integrazione, modificazione, sostituzione1.

Sommario

  1. Premesse
  2. Atto pubblico e scrittura privata autenticata
  3. Disciplina delle postille
  4. Le “postille postume”
  5. L’art. 59 bis L.N.
  6. Le “postille postume” accertate durante l’ispezione notarile
  7. Le “postille postume” accertate in sede diversa dall’ispezione notarile
  8. Le “postille postume” accertate da altro notaio
  9. La querela di falso
  10. Falso civile e falso penale
  11. Responsabilità penale e “postille postume”
  12. Responsabilità disciplinare e “postille postume”
  13. Responsabilità civile e “postille postume”
  14. Conclusioni
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1. Premesse

La disciplina contenuta nell’art. 53 della legge notarile (Legge 16 febbraio 1913, n. 89, di seguito: L.N.) e nell’art. 69 del regolamento notarile (R.D. 10 novembre 1914, n. 1326, di seguito: R.N.), nel vietare le addizioni nel corpo dell’atto notarile, dopo la sottoscrizione del notaio e con metodi diversi da quelli tassativamente consentiti, ha l’evidente scopo di impedire che l’atto possa essere alterato dopo la sua formazione.

Con queste brevi note mi propongo di verificare se siano lecite o no e, quindi, punibili o no (in sede penale e disciplinare) le postille apposte dopo la formazione dell’atto, vale a dire le “postille postume”, cioè quelle inserite dopo (a volte tanto tempo dopo e spesso anche in più riprese) che l’atto è stato sottoscritto dalle parti e dal notaio, nell’originale dell’atto stesso, in un apposito spazio volutamente lasciato in bianco in sede di stipula2.

2. Atto pubblico e scrittura privata autenticata

La normativa su citata (artt. 53 L.N. e 69 R.N.) si applica sicuramente agli atti pubblici notarili, ma non alle scritture private autenticate (artt. 72 L.N. e 2703 c.c.), come ritiene la concorde dottrina.

La scrittura privata può essere predisposta dalle parti e consegnata al notaio per l’autenticazione delle firme o, come prevalentemente avviene, predisposta direttamente dal notaio. L’alterazione della scrittura privata commessa dal notaio in passato avrebbe potuto configurare il delitto previsto dall’art. 485 c.p., che, però, è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

La fattispecie è ora considerata un illecito civile sottoposto a sanzioni pecuniarie civili (art. 4, comma 4, lett. a) del medesimo D.Lgs. 7/2016), soggetto alla sanzione pecuniaria da euro 200,00 a euro 12.000,00, applicata dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno.

Rimane ferma la responsabilità disciplinare e civile a carico del notaio.

Di seguito con la parola atto ci si riferirà sempre all’atto notarile pubblico.

3. Disciplina delle postille

La corretta procedura, prevista dall’art. 53 L.N. e dall’art. 69 R.N. per la redazione delle postille, durante la formazione dell’atto notarile, è la seguente:

a) è necessario cancellare (cioè chiudere tra cancelli) le parole che si vogliono togliere o variare in modo che si possano sempre leggere: il metodo più diffuso di cancellazione consiste nel racchiudere in riquadri le parole da cancellare o da variare, tracciando linee orizzontali e linee verticali sopra, sotto e a fianco delle parole stesse; i riquadri così realizzati vengono contrassegnati di solito con un numero, per creare il collegamento tra le parole cancellate o variate con la postilla collocata in fondo all’atto; se, invece, si devono aggiungere parole, il numero di collegamento deve essere scritto nel punto del testo in cui si vuole inserire l’aggiunta;

b) in calce all’atto è necessario scrivere le postille, cioè l’indicazione di ciò che viene cancellato, variato o aggiunto; le postille devono essere distinte per ogni variazione, cancellazione o aggiunta (anche di più parole costituenti interi periodi) e contrassegnate con il medesimo numero di richiamo apposto nel corpo dell’atto;

c) è necessario fare menzione del numero tanto delle parole cancellate, quanto delle postille;

d) se le postille sono apposte prima della chiusa (protocollo finale o escatocollo, in cui il notaio menziona chi ha scritto l’atto, la lettura dello stesso e di quanti fogli si compone) e prima della sottoscrizione delle parti e del notaio, null’altro è richiesto, perché la lettura dell’atto necessariamente comprende anche la lettura delle postille;

e) invece, se le postille sono apposte dopo la chiusa, ma prima della sottoscrizione delle parti e del notaio, le postille devono essere lette alle parti dal notaio e di ciò deve essere fatta espressa menzione;

f) è possibile apporre le postille anche dopo la sottoscrizione delle parti, ma prima della sottoscrizione del notaio; in tale ipotesi la postilla (cioè, la cancellazione, variazione o aggiunta) deve essere richiesta dalle parti, deve essere loro letta dal notaio e di ciò deve essere fatta espressa menzione; le parti devono sottoscrivere nuovamente l’atto, prima della sottoscrizione del notaio.

Le postille, fatte e non approvate nei modi sopra indicati, si reputano non avvenute (art. 53, ultimo comma, L.N.).

4. Le “postille postume”

Le “postille postume”, invece, vengono apposte dopo che le parti e il notaio hanno sottoscritto l’atto. La procedura seguita consiste nel lasciare uno spazio in bianco (pari a

quattro o cinque righe o anche di più) a disposizione delle eventuali postille, prima della chiusa (protocollo finale o escatocollo, in cui il notaio menziona chi ha scritto l’atto, la lettura dello stesso e di quanti fogli si compone). Lo spazio non utilizzato sarà poi interlineato.

Questa tecnica ha lo scopo di correggere l’atto, a mano (come prevalentemente accade) o con mezzi meccanici, in studio e in tutta tranquillità, in assenza delle parti (ovviamente senza il loro consenso, che, comunque, non renderebbe lecite le “postille postume”), per rimediare a eventuali errori scoperti dopo la stipula, spesso in occasione della predisposizione degli adempimenti conseguenti (registrazione, trascrizione, iscrizione, annotazione, voltura, ispezione, etc.) o anche in sede di lettura dell’atto stesso con rinvio della redazione delle postille in un momento successivo alla formazione dell’atto.

Naturalmente, nel caso delle “postille postume”, le copie dell’originale, necessarie per gli adempimenti successivi e da rilasciare alle parti, non sono effettuate con le fotocopiatrici direttamente dall’originale, ma sono riscritte con metodi informatici e con in calce il c.d. “F.to” (paragrafo 7).

L’utilizzo delle “postille postume”, comunque, non si può considerare consentito e, tanto meno, lecito per i motivi che cercherò di esporre.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D'Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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5. L’art. 59 bis L.N.

Il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110, ha introdotto nella legge notarile l’art. 59 bis, per consentire al notaio la facoltà di rettificare, mediante una propria certificazione3, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione.

La dottrina4 qualifica la certificazione del notaio come una dichiarazione di scienza, scomponibile logicamente nella ricognizione dell’errore materiale e nell’enunciazione del dato corretto in luogo di quello errato. È, quindi, escluso qualsiasi apporto discrezionale del notaio, appunto perché la rettifica è “mera dichiarazione di scienza e mai dichiarazione di volontà”. Più precisamente, l’errore o l’omissione materiali da rettificare non rientrano nell’errore nella dichiarazione (divergenza tra volontà e dichiarazione).

commesso dalla parte (errore ostativo ex art. 1433 c.c.), ma nell’errore nella documentazione, commesso dal notaio nell’atto. Ciò emerge chiaramente dall’art. 65 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69, che circoscrive la rettifica “agli errori od omissioni materiali di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto”.

La Cassazione con la recente sentenza 31795/2022 ha precisato: “L'errore direttamente rettificabile dal notaio - ovvero in virtù di una sua specifica ed esclusiva iniziativa - è, quindi, quello meramente materiale che non incide sul contenuto sostanziale dell'atto che sia stato già formato, dal quale sia conseguita la produzione dei suoi effetti nel mondo giuridico. Lo stesso discorso vale per le omissioni del tutto materiali (cfr., da ultimo, Cass. n. 4171/2021).” Continua la citata sentenza, affermando che il notaio non può utilizzare l’art. 59 bis “al fine di sanare la nullità del correlato atto pubblico originario, sostituendosi, con un "apparente" atto di rettifica, alle parti, le sole che avrebbero potuto rendere una dichiarazione integrativa prevista a pena di nullità dalla legge, ovvero ai sensi dell'art. 40 della legge n. 47 del 1985.” Un simile atto di rettifica è nullo “per violazione dell'ordine pubblico e per contrarietà a norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c., poiché …. gli atti di rettifica di cui all'art. 59 -bis L.N. possono essere adottati solo nella rigorosa sussistenza delle inerenti condizioni normative, ovvero per sopperire - come sancisce la norma appena citata - ad "errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti" alla redazione dell'atto”.

Fermo questo rigoroso perimetro, il notaio, che si sostituisce illegittimamente alle parti, pone unilateralmente in essere atti univocamente vietati dalla legge e, in quanto tali, rientranti nella previsione di cui all'art. 28, comma 1, n. 1, L.N.

L’art. 59 bis non è stato introdotto per legittimare le “postille postume”, perché la novella opera in un campo molto più ristretto di quello in cui la prassi utilizza le “postille postume” e ha, tra l’altro, lo scopo evidente di circoscrivere rigorosamente e con la massima trasparenza l’intervento pubblico, non clandestino, del notaio successivamente alla formazione dell’atto.

6. Le “postille postume” accertate durante l’ispezione notarile

Forse si è indotti a sottovalutare il problema della liceità delle “postille postume”, perché convinti che sia estremamente improbabile una contestazione in merito (cioè, è improbabile che si dimostri che la postilla è stata apposta successivamente al perfezionamento dell’atto). Tuttavia, l’esperienza insegna che tale opinione è dovuta a superficialità e ingenuità.

Infatti, e innanzi tutto, in sede di ispezione ordinaria biennale il Capo dell’Archivio Notarile e il Presidente del Consiglio Notarile accertano, tra l’altro, che siano state osservate le disposizioni di legge (art. 128 L.N.), per cui accertano, quanto alle postille, che, durante la formazione dell’atto, siano state rispettate le disposizioni di cui agli artt. 53 L.N. e 69 R.N. e che dopo la sottoscrizione del notaio nulla sia stato variato o aggiunto, salvo quanto espressamente consentito dalla legge5.

Numerosi sono gli indizi che possono far sospettare l’inosservanza delle citate norme e cioè che le “postille postume” siano state apposte dopo la formazione dell’atto in assenza delle parti: il numero eccessivo di postille, la loro collocazione sempre nello spazio in bianco (che, con tutta evidenza, è stato predisposto prima della lettura dell’atto) con l’interlineatura dello spazio residuo non scritturato, la loro scritturazione di pugno del notaio in un atto scritto, invece, quasi tutto con mezzi meccanici.

Un preciso indizio è costituito dall’essere, quasi tutte le postille, apposte in atti stipulati nello studio del notaio, essendo, invece, noto che, per eventuali variazioni o errori rilevati durante la lettura dell’atto nello studio, è più rapido, più efficiente e più elegante procedere con la ristampa dell’atto.

Inoltre, il Capo dell’Archivio Notarile e il Presidente del Consiglio Notarile possono sempre, anche disgiuntamente, acquisire dalla Conservatoria dei Pubblici Registri Immobiliari, dall’Ufficio Tavolare, dal Registro delle Imprese, dall’Agenzia delle Entrate o da qualsiasi altro ufficio pubblico copia dell’atto per collazionarla con l’originale che stanno ispezionando.

Sul punto si deve ricordare che la competenza a promuovere l’azione disciplinare è generale per il Procuratore della Repubblica e per il Presidente del Consiglio Notarile, mentre per il Capo dell’Archivio Notarile è limitata alle infrazioni rilevate durante le ispezioni, con esclusione delle violazioni delle norme deontologiche (art. 129 L.N.).

Data la sua limitata competenza, taluno dubita che il Capo dell’Archivio Notarile, durante l’ispezione, possa travalicare i confini della redazione e conservazione degli atti, della conservazione dei registri e dei repertori e dei versamenti all’archivio e possa, pertanto, ricercare copie o documenti per verificare la genuinità dell’atto in ispezione. Si è, però, obiettato (App. Roma ord. 15/12/2016-04/12/2017 rep. 9945 in Banca Dati Deontologia) che, ai sensi dell’art. 128 L.N., l’ispezione riguarda solamente “in particolare” la redazione e la conservazione degli atti, etc., con la possibilità di estendere il campo di azione delle ispezioni anche a infrazioni di diversa natura.

Il Capo dell’Archivio Notarile, se ritiene che la postilla apposta sull’atto ispezionato sia una “postilla postuma” (in quanto inserita non durante la formazione dell’atto, ma successivamente), deve procedere, come si vedrà più avanti, sia sotto il profilo disciplinare sia sotto il profilo penale. E identici doveri ha anche il Presidente del Consiglio Notarile.

7. Le “postille postume” accertate in sede diversa dall’ispezione notarile

Le “postille postume”, comunque, possono essere accertate anche in sede diversa dall’ispezione notarile.

Ad esempio, è accaduto (è sufficiente consultare la Banca Dati Deontologia) che in un processo civile o penale sia stata acquisita copia dell’originale, formata per la produzione in giudizio, e che tale copia sia stata collazionata con altra copia, formata molto tempo prima, già presente tra gli atti processuali e in parte diversa.

Ma il caso più raro e più sconosciuto riguarda la possibilità che qualunque interessato chieda di collazionare la copia in suo possesso con l’originale.

Preliminarmente devo ricordare che, ai sensi dell’art. 68 L.N. 6 le disposizioni dell’art. 53 L.N. sulle postille si applicano anche alle copie, ma le postille apposte sull’originale non devono essere riportate nella copia, che, invece, deve essere formata già con il testo variato o modificato. Di conseguenza, la copia non reca la riproduzione delle sottoscrizioni apposte sull’originale, ma il c.d. “F.to” seguito dal nome delle parti, degli eventuali testimoni o fidefacienti e del notaio.

La norma è antica e risale a un’epoca in cui non esistevano le fotocopiatrici e in cui era imposto che l’originale fosse scritto a mano, mentre le copie potevano essere fatte con le macchine per scrivere.

Quest'ultima norma, contenuta nell'art. 68 1.n., mira a rimuovere qualsiasi difficoltà di lettura e consentire la maggiore speditezza nella lettura stessa. Essa, peraltro, non è di ostacolo alla riproduzione delle copie con meccanismi fotografici o fotostatici, la cui caratteristica, come è noto, è quella di riprodurre l'atto nello stato in cui si trova, e pertanto con le postille eventuali in calce <sottolineatura mia>. Come è stato autorevolmente affermato (Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione Generale AA.CC. e Libere Professioni, Ufficio Archivi Notarili, prot. C/175, in data 26 gen. 1968), detta norma «deve essere inquadrata nel tempo in cui è stata emanata» e pertanto va «contemperata con le esigenze di progresso e di ammodernamento dei servizi»; essa, poi, «appare investita di una portata strumentale cui non può riconoscersi la forza di rendere totalmente inoperanti» norme di contenuto sostanziale quali, da ultimo, quelle della 1. n. 15 del 1968.”7 (ora D.P.R. 445/2000).

Le due tecniche di formazione delle copie (ex art. 68 L.N. o mediante riproduzione fotografica o fotostatica dell’originale) sono entrambe lecite, ma la copia rilasciata ai sensi dell’art. 68 L.N. ha il grande pregio di nascondere le “postille postume”.

Nella prima ipotesi, inoltre, spesso i clienti rimangono perplessi nel ricevere le copie senza le loro firme autografe. E spesso capita che le copie inviate all’estero siano rifiutate perché prive delle firme.

Chi forma le copie esclusivamente ai sensi dell’art. 68 L.N., probabilmente ignora l’art. 746 c.p.c., che espressamente recita: “Chi ha ottenuto la copia di un atto pubblico a norma dell’articolo 743 ha diritto di collazionarla con l'originale in presenza del depositario. Se questi si rifiuta, può ricorrere al tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni. Il giudice, sentito il depositario, dà con decreto le disposizioni opportune per la collazione e può eseguirla egli stesso recandosi nell'ufficio del depositario.”

Si può solo immaginare la reazione del cliente nell’accertare nell’originale le aggiunte di mano del notaio, che non esistevano al momento della sottoscrizione dell’atto. Se poi è proprio il giudice civile a eseguire direttamente la collazione (potendolo espressamente chiedere il ricorrente), è quasi certo che procederà ai sensi dell’art. 331 c.p.p., se dovesse sospettare che la postilla sia stata apposta dopo la formazione dell’atto.

E il sospetto sarebbe certamente alimentato dalla dichiarazione del cliente di aver sottoscritto l’originale senza le aggiunte.

8. Le “postille postume” accertate da altro notaio

Può anche succedere che un notaio, dovendo ricevere o autenticare un atto dipendente da un precedente atto di un collega, rilevi un’evidente difformità tra due copie del medesimo originale (ad es. tra la copia in possesso del cliente e quella depositata in un pubblico ufficio).

È indiscutibile, in questo caso, l’obbligo, per il successivo notaio, di denunciare il fatto al PM, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. Se non lo facesse (forse per non macchiarsi di infamia), commetterebbe il delitto di omessa denuncia, previsto e punito dall’art. 361 c.p.

9. La querela di falso

L’art. 2700 c.c.8 decreta l’efficacia dell’atto pubblico, disponendo che fa piena prova fino a querela di falso. Per la scrittura privata, entro precisi limiti, provvede analogamente l’art. 2702 c.c.

La piena efficacia probatoria dell’atto pubblico e quella limitata della scrittura privata possono essere impugnate con la querela di falso, che è un procedimento disciplinato dagli artt. 221 e segg. c.p.c. ed è promosso dinanzi al giudice civile sia in via principale sia in corso di causa, in qualunque stato e grado del giudizio.

Con la sentenza che dichiara la falsità dell’atto, il giudice, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 537 c.p.p., richiamato dall’art. 226 c.p.c., ordina la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze, e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell’atto o del documento, con la prescrizione del modo in cui deve essere eseguita.

L’atto notarile, in cui siano state inserite delle “postille postume”, può sicuramente essere oggetto della querela di falso.

In un caso, che ben conosco, il notaio, molto tempo dopo la formazione dell’atto, aveva inserito nell’originale una postilla postuma, per segnalare l’esistenza di una antecedente ipoteca. L’alterazione veniva accertata, comparando la copia dell’atto, rinvenuta nei pubblici uffici, con l’originale alterato. Orbene, il notaio, con sentenza definitiva, è stato condannato penalmente per il delitto di cui all’art. 476 c.p.; in sede disciplinare è stata dichiarata la prescrizione della relativa azione; in sede civile (con sentenza confermata anche dalla Cassazione) è stata accolta la querela di falso, con l’ordine di cancellazione della postilla postuma. Ignoro se sia stata promossa e quale esito abbia avuto la probabile azione di risarcimento degli eventuali danni. Il tutto è durato almeno dieci anni: ne valeva la pena?

10. Falso civile e falso penale

La dichiarazione di falsità, contenuta nella sentenza del giudice civile, che accoglie la querela di falso, ha lo scopo di rimuovere la fede privilegiata che assiste l’atto pubblico (art. 2700 c.c.) o la scrittura privata (art. 2702 c.c.).

L’accertamento della falsità effettuato dal giudice penale ha, invece, lo scopo di sanzionare la responsabilità penale dell’autore del falso.

È però certo il dovere del giudice civile (nel procedimento di querela di falso, in cui, peraltro, è obbligatorio l’intervento del PM, o in qualunque altro procedimento, tra cui il procedimento di collazione della copia con l’originale, ai sensi dell’art. 746 c.p.c.), dei pubblici ufficiali (compresi i notai) o degli incaricati di un pubblico servizio di denunciare al PM, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., il fatto che può integrare gli estremi di un falso penalmente rilevante e di cui abbiano notizia.

11. Responsabilità penale e “postille postume”

a) Premesse

Il notaio, come ogni altro soggetto, può, quindi, incorrere in responsabilità penale. In base alla mia esperienza, devo, però, affermare con convinzione che ciò accade molto raramente, perché il notariato adempie con rigore professionale e meritorio al controllo della legalità delle operazioni economiche e giuridiche in cui presta il suo ministero.

Ciò premesso, mi limiterò a esaminare l’aspetto penale in modo compatibile con la mia diversa formazione professionale.

Sono noti alcuni casi in cui il notaio ha commesso il delitto di peculato (art. 314 c.p.) per essersi appropriato di denaro, che gli era stato consegnato dai clienti e che era destinato al pagamento delle imposte. Ma la responsabilità penale, in cui può incorrere il notaio, riguarda, per lo più, la falsità in atti: il delitto di falso, per il notaio, è un reato che offende con particolare gravità la funzione, perché l’art. 1 della L.N. definisce i notai come i pubblici ufficiali istituiti, tra l’altro, per attribuire pubblica fede agli atti tra vivi o di ultima volontà, da loro ricevuti.

Infatti, il bene protetto dal delitto commesso dal pubblico ufficiale, che “nell’esercizio delle sue funzioni forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero”, è la fede pubblica documentale, cioè “quella fede che il pubblico riconosce insita nei documenti (atti pubblici o scritture private), in quanto questi fissano, materializzano, perpetuano manifestazioni o dichiarazioni di volontà o attestazioni di verità giuridicamente rilevanti”.9

Il documento, innanzi tutto, è falso quando non è “genuino”, cioè quando viene falsificato nella sua essenza materiale (ad es. creazione di un testamento apocrifo): questo è il falso materiale. Il documento, poi, è falso quando non è “veridico”, cioè quando, pur essendo genuino, è falsificato soltanto nella sostanza (ad es. il notaio in un atto pubblico dichiara che le parti hanno fatto dichiarazioni diverse da quelle effettivamente rese): questo è il falso ideologico, chiamato anche “intellettuale”.10

Nel falso ideologico (artt. 479 e 480 c.p.) il notaio, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza; nel falso materiale (art. 476 c.p.), il notaio, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero.

b) Il falso ideologico

Poiché il falso materiale per alterazione può strumentalmente essere collegato al falso ideologico, ritengo opportuno segnalare alcuni casi interessanti di falso ideologico, secondo la giurisprudenza della Cassazione penale.

Innanzi tutto, quello commesso da un notaio non in un atto pubblico, ma nelle autoliquidazioni prodotte a mezzo di documenti informatici pubblici (il c.d. M.U.I. Modello Unico Informatico), in cui il notaio aveva attestato fatti in contrasto con i dati reali riportati negli atti pubblici di compravendita di riferimento. La Suprema Corte ha ravvisato la violazione degli artt. 480 e 491 bis c.p. con riferimento al D.Lgs. 463/1997 (registrazione degli atti con il M.U.I.) e ha annullato la sentenza di merito, con cui, invece, il notaio era stato assolto (Cass. Pen. 30512/2014).

A un altro notaio è stato contestato il falso ideologico, a titolo di concorso per omesso impedimento (art. 40, comma 2, c.p.) della falsa e rilevante dichiarazione del venditore, non conforme a verità, di essere titolare del diritto di proprietà esclusiva sull’immobile venduto, anziché di comproprietà (Cass. Pen. 24972/2012 e 50668/2016). Correttamente si è affermato che la prestazione d’opera del notaio, ai sensi dell’art. 47, comma 2, L.N.11, non si riduce al mero accertamento della volontà delle parti, ma si estende alle attività preparatorie e successive, al fine di assicurare la certezza dell’atto, che il notaio riceve o autentica, e il conseguimento dello scopo tipico.

È stato recentemente esaminato anche il caso di un notaio che, sulla base di documenti falsi, aveva attestato l’identità personale dei contraenti. Il notaio è stato assolto per mancanza di dolo, perché tratto in inganno, ma la Cassazione ha osservato che tale circostanza (essere assolto per difetto di dolo) “non refluisce su quelli che erano gli obblighi su di lui <il notaio> gravanti” (Cass. Pen. 40158/2022).

Infine, la Cassazione penale ha, sempre recentemente, esaminato il caso di un notaio imputato di falso ideologico per aver ricevuto un atto pubblico in cui due persone erano comparse dinanzi a lui e avevano sottoscritto l’atto alle ore 15.00-15.30 e le altre persone erano comparse successivamente e avevano sottoscritto l’atto dopo le ore 17.00. Il notaio è stato assolto in primo e in secondo grado, per cui il ricorso del Procuratore Generale incontrava i limiti della doppia conforme (art. 608 c.p.p.). Comunque, la Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore Generale, confermando la motivazione della Corte d’Appello, secondo cui il notaio non aveva attestato la compresenza delle persone, ma solo che erano comparse, avevano sottoscritto l’atto in sua presenza, confermando la sua conformità alla loro volontà (Cass. Pen. 33604/2022).

Fermo restando il giudizio sul rispetto della legge da parte dei notai quali pubblici ufficiali, espresso nel precedente paragrafo, i casi sopra riportati devono indurre i notai a non ignorare le quotidiane insidie che devono affrontare e che devono loro imporre di non abbassare mai la soglia di attenzione.

Queste considerazioni valgono, senz’altro, anche nel caso delle “postille postume”. In merito ricordo che delle postille non si deve dare autonoma lettura se sono apposte prima della chiusa e prima della sottoscrizione delle parti e del notaio, perché la lettura dell’atto necessariamente comprende anche la lettura delle postille; se, invece, sono apposte dopo, sono soggette a una loro specifica lettura12.

Le “postille postume” sono normalmente apposte nello spazio lasciato in bianco prima della chiusa, per cui la successiva lettura dell’atto apparentemente comprende anche le “postille postume”. Ciò potrebbe comportare la contestazione di un cumulo materiale di reati: dapprima il falso per alterazione, previsto dall’art. 476 c.p., per avere il notaio alterato l’atto con la “postilla postuma”; quindi il falso ideologico, previsto dall’art. 479 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 2, c.p., per avere il notaio falsamente attestato di aver letto alle parti la “postilla postuma” (redatta, invece, dopo la formazione dell’atto e, quindi, in assenza delle parti) per eseguire il precedente falso materiale. Ad analoghe conclusioni si dovrebbe pervenire se le “postille postume” fossero apposte dopo la chiusa e il notaio falsamente attestasse di averle lette alle parti.

c) Le copie degli atti: falso ideologico o falso materiale?

Un’ipotesi di reato riguarda le copie degli atti alterati con le “postille postume”.

Come ho già ricordato, l’ultimo comma dell’art. 53 L.N. espressamente dispone che “le cancellature, aggiunte e variazioni fatte e non approvate nei modi sopra stabiliti si reputano non avvenute”. Di conseguenza, le variazioni e aggiunte, fatte nell’originale non nelle forme stabilite dal citato articolo, non potrebbero, nelle copie, essere “copiate di seguito nel corpo dell’atto e non per postilla” (art. 68 L.N. 13), appunto perché non avvenute. Se, invece, fossero, comunque, copiate, allora si potrebbe sostenere che le copie (contenenti nel testo le “postille postume”) non sono conformi all’originale (in cui le cancellature, le aggiunte e le variazioni si reputano non avvenute) e, forse, si potrebbe ravvisare nelle copie il falso materiale previsto dall’art. 478 c.p.

Tuttavia, in un caso simile, in cui il notaio aveva alterato l’atto sovrascrivendo il numero catastale originario e aveva attestato falsamente la conformità all’originale di una copia, riportante il nuovo numero e presentata per la trascrizione all’Agenzia delle Entrate

- Territorio, la Cassazione Penale, con la sentenza 9840/2013, confermando le pronunce di merito, ha ravvisato nella copia il delitto di falso ideologico ex art. 479 c.p., con l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, c.p. per aver commesso il reato (il falso ideologico nella copia) per occultarne un altro (il falso materiale nell’originale).

d) Il falso materiale

Il falso materiale, previsto dall’art. 476 c.p., è, però, quello che maggiormente riguarda le “postille postume”. Il reato è riconducibile ai delitti contro la pubblica fede (libro secondo, titolo VII del codice penale); più precisamente rientra nelle c.d. falsità documentali (Capo III: Falsità in atti).

Tralascio volutamente qualsiasi considerazione sulla natura del documento, perché, ovviamente, trattando della responsabilità notarile, dobbiamo riferirci all’atto pubblico e alla scrittura privata autenticata, che i notai ben conoscono.

Devo ancora ricordare che si tratta di un reato di pericolo, per la cui consumazione è sufficiente che il bene giuridico tutelato sia posto in pericolo, non essendo necessaria la produzione di alcun danno14.

L’elemento oggettivo del delitto è sia la formazione, in tutto o in parte, di un atto falso, sia l’alterazione di un atto vero.

La prima ipotesi (formazione, in tutto o in parte, di un atto falso) riguarda la “contraffazione”, cioè la creazione, totale o parziale, di uno scritto che prima non esisteva da parte di una persona diversa da quella da cui appare che provenga. Un esempio piuttosto noto (soprattutto ai notai anziani) consisteva nella dichiarazione di vendita di un autoveicolo (ovviamente non predisposta da notaio, anche se così appariva) sulla quale erano stati apposti un sigillo notarile contraffatto e una firma apocrifa del notaio.

La seconda ipotesi riguarda le “alterazioni”, che consistono nelle “…modificazioni di qualsiasi specie (aggiunte, cancellature, ecc.) che al documento autentico vengono apportate dopo la sua definitiva formazione.”15 L’abrogato art. 485 c.p., nel suo secondo comma, riportava questa definizione: “Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata.”

Questa seconda condotta, prevista e punita dall’art. 476 c.p., è quella che ricorre nelle “postille postume”.

e) Le alterazioni irrilevanti

Le “postille postume” alterano l’atto notarile vero e, quindi, sono riconducibili al falso materiale per alterazione, previsto dall’art. 476, comma 1, ultima ipotesi, c.p.

Tuttavia, non tutte le “postille postume” sono penalmente sanzionabili; infatti, l’art. 49, comma 2, c.p., prevede l’“inidoneità dell’azione” o l’ “inesistenza dell’oggetto”, che rendendo impossibile l’evento dannoso o pericoloso, ne esclude la punibilità: è questo il

c.d. delitto impossibile. Il principio è stato applicato ai reati di falso e così la dottrina e la giurisprudenza hanno individuato:

1) il falso grossolano: “In tema di falso documentale, ai fini dell'esclusione della punibilità per inidoneità dell'azione ai sensi dell'art. 49 c.p., occorre che la falsificazione dell'atto appaia in maniera talmente evidente da impedire la stessa eventualità di un inganno alla pubblica fede ….inoltre la difformità dell'atto dal vero risulti riconoscibile "ictu oculi", ovvero in base alla mera disamina dello stesso, e da chiunque.” (Cass. Pen. 27310/2019);

2) il falso innocuo: «… in tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto "falso innocuo" nei casi in cui l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto» (Cass. Pen. 5896/2021);

3) il falso inutile: “… cade su un atto o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria …” (Cass. Pen. 11498/1990); la falsità “… non incide sull’esistenza ed efficacia dell’atto che conserva la sua efficacia anche senza la parte accessoria non rispondente al vero …” (Trib. Crotone 33/2008).

La dottrina ritiene che, con riferimento al citato art. 49, comma 2, c.p., il falso grossolano e il falso innocuo sono reati impossibili per inidoneità dell’azione, mentre il falso inutile è un reato impossibile per inesistenza dell’oggetto, riguardando un atto, o parte dello stesso, non fidefaciente (che non fa prova fino a querela di falso).

La giurisprudenza di legittimità ha utilizzato gli argomenti di cui sopra nel falso materiale documentale, e, rifacendosi, sia al falso innocuo sia al falso inutile, ha così deciso: “… va rilevato che il principio di immutabilità ed intoccabilità dell'atto pubblico, da parte del suo stesso autore, ed una volta formato nonché uscito dalla di lui disponibilità …, risulta reiteratamente espresso dal giudice di legittimità anche per le ipotesi che la modificazione del documento sia nel senso della verità, con la precisazione, tuttavia, che l'alterazione non configura falso materiale punibile ex art. 476 cod.pen. allorché la stessa si traduca in mera correzione di errori materiali. Ove si tratti, infatti, di semplice correzione di un errore materiale, l'intervento postumo non incide sul significato dì rappresentazione del documento e, dunque, non travisa il senso dell'atto; vero è che l'errore materiale investe l'atto nella sua esteriorità, ma alla modifica letterale o testuale del documento non si accompagna una altrettale modifica del suo significato comunicatorio, sicché restano illesi l'interesse alla verità ed integrità del mezzo di prova e la connessa idoneità probatoria del medesimo.” (Cass.Pen. 23327/2004)16.

E ancora: “Secondo l'orientamento espresso da questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 23327 del 02/04/2004, Ferrarci Rv. 228869), le modifiche o le aggiunte in un atto pubblico, dopo che è stato regolarmente e definitivamente formato, integrano un falso punibile anche quando il soggetto abbia agito per stabilire la verità effettuale del documento; tuttavia, ai fini della punibilità, occorre che le aggiunte successive non si identifichino in mere correzioni o integrazioni, che, lungi dal modificare l'elemento contenutistico dell'atto, già formalmente perfetto, siano invece dirette a completamento essenziale del relativo procedimento di formazione …. La specifica efficacia fidefacente attribuita dall'ordinamento agli atti pubblici impone peraltro di considerare errori materiali le imprecisioni che o siano interpretabili come tali attraverso l'esame complessivo dell'atto … o siano comunque sicura espressione di un'inesattezza la cui rimozione non altera il contenuto dell'atto stesso.” (Cass. Pen. 9840/2013).

In molti casi le “postille postume” sono, perciò, riconducibili al falso innocuo o inutile, essendo destinate a rimuovere imprecisioni o inesattezze o a rettificare errori materiali, senza alterare il contenuto dell’atto, e, quindi, non sono sanzionabili penalmente.

Ciò pare tranquillizzare i notai, che adottano tale metodo, ma non considerano che:

1) chi inserisce in un atto pubblico le “postille postume” pone in essere una condotta che integra l’alterazione prevista dall’art. 476, comma 1, ultima ipotesi, c.p., anche se non punibile, così come chiaramente espresso dalle sentenze sopra citate (Cass. Pen. 23327/2004 e 9840/2013) e mi sono limitato a citare solo le pronunce relative a processi penali subiti da notai; la giurisprudenza è comunque consolidata in tutti i falsi per alterazione commessi da altri pubblici ufficiali.

2) Non spetta al Capo dell’Archivio Notarile o al Presidente del Consiglio Notarile ravvisare in tale condotta un falso innocuo o inutile non punibile, perché ciò è, invece, di competenza esclusiva del giudice penale.

Al Capo dell’Archivio Notarile e al Presidente del Consiglio Notarile incombe solo l’obbligo ineludibile di farne denuncia al PM, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., e di procedere in sede disciplinare, essendo obbligatoria l’azione disciplinare così come lo è quella penale.

3) Il provvedimento del giudice penale che esclude la punibilità, perché l’alterazione è innocua o inutile, non è immediato; il più delle volte, dopo molti anni, è la Cassazione a confermare come non punibile l’alterazione; fino ad allora il notaio rimane con questa pendenza giudiziaria;

4) è possibile che, nonostante il falso materiale sia considerato innocuo o inutile, permanga, se contestato, il falso ideologico per aver attestato la lettura di una postilla in quel momento inesistente17. Infatti, il riconoscimento del falso innocuo o inutile nelle “postille postume” comporta necessariamente che si sia accertato che le stesse sono state inserite dal notaio dopo la formazione dell’atto e che, quindi, non possono essere state lette alle parti;

5) infine, sia pure volendo esasperare il problema, ricordo che, ai sensi del citato art. 49, ultimo comma, c.p., il giudice con la sentenza di proscioglimento, con cui dichiara la non punibilità del falso grossolano, innocuo o inutile, può ordinare che il notaio prosciolto sia sottoposto a misure di sicurezza.

f) Il tentativo

Autorevole, ma risalente dottrina riteneva giuridicamente non possibile il tentativo: “Trattasi, invero, di un reato di pericolo … rispetto al quale è sufficiente, per la consumazione, quella editio falsi, che altrimenti potrebbe essere considerata come tentativo. Gli atti anteriori al compimento della falsità <ad es. la predisposizione dello spazio bianco, il c.d. salvagente> non presentano alcun pericolo diretto per la pubblica fede, e però non possono punirsi per titolo di falsità documentale, neppure nella forma del tentativo. D’altra parte, manca, per i delitti di falso documentale, una disposizione analoga a quella dell’art. 461.”18

Altra dottrina, pure risalente, invece, lo ammetteva: “Non vi è alcuna valida ragione per escludere, come parecchi autori ritengono, la configurabilità del tentativo. Es.: taluno è sorpreso mentre con la scolorina sta per cancellare una frase di un atto notarile”19

L’esempio sopra citato può fare sorridere, perché la fattispecie è senz’altro estremamente improbabile, ma non impossibile. Segnalo l’art. 132 L.N., che autorizza il Ministero della Giustizia a disporre un’ispezione straordinaria, che, per chi lo ignorasse, si svolge, senza alcun preavviso, nello studio del notaio. Sono a conoscenza diretta di un’ispezione straordinaria iniziata una mattina di parecchi anni orsono, con l’ingresso imprevisto nello studio notarile di un funzionario proveniente da Roma, il quale iniziò a ispezionare gli atti stipulati poche ore o qualche giorno prima. Nel relativo verbale (indirizzato anche alla Procura della Repubblica e che lessi per dovere d’ufficio) si segnalava di aver accertato che, in un atto di vendita del giorno prima, il notaio aveva dichiarato che all’atto stesso era allegato anche un estratto da lui formato di un verbale del Consiglio di amministrazione di una società, ma tale estratto, al momento dell’ispezione, non era stato ancora preparato. In questo caso si trattò di falso ideologico consumato, ma se l’ispettore avesse trovato degli originali di atti già stipulati, magari da tempo, in cui fossero in corso aggiunte o variazioni, non si sarebbe potuta negare l’astratta ipotesi di un tentativo di falso materiale per alterazione.

Quanto alla giurisprudenza di legittimità ho rinvenuto solamente le sentenze 993/1971 e 8725/1979 e l’ordinanza 2097/1971, che ammettono il tentativo.

12. Responsabilità disciplinare e “postille postume”

a) Procedimento penale e procedimento disciplinare

Pecca, inoltre, di ingenuità il notaio nel credere che sia tutto finito dopo l’archiviazione della denuncia penale o dopo la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione.

Un falso materiale per alterazione, penalmente rilevante e conclusosi con la condanna del notaio, è senza dubbio rilevante anche disciplinarmente.

Quanto all’ipotesi inversa, devo, innanzi tutto, ricordare:

  • il procedimento disciplinare notarile, se iniziato, deve essere necessariamente sospeso quando per lo stesso fatto si procede penalmente (pregiudiziale penale obbligatoria: art. 158 quinquies, comma 2, L.N.) e può essere sospeso quando è connesso con il processo penale (pregiudiziale penale facoltativa: art. 158 quinquies, comma 4, L.N.); la ratio di tali norme risiede anche nell’esigenza di consentire al soggetto, che promuove l’azione disciplinare, di giovarsi completamente delle più approfondite risultanze penali;
  • il PM, in caso di esercizio dell'azione penale a carico di un notaio, ha l’obbligo di darne immediata comunicazione al Presidente del Consiglio Notarile (art. 158 quinquies, comma 1, L.N.), specificando il reato per il quale procede.

Esaurita la fase penale, quale ne sia l’esito, il procedimento disciplinare dovrà riprendere il suo corso, se era stato iniziato, o dovrà iniziare nel caso contrario, non potendo i titolari dell’azione disciplinare (Procuratore della Repubblica, Presidente del Consiglio Notarile e Capo dell’Archivio Notarile) ignorare l’esistenza e l’esito del processo penale.

L’obbligo di procedere in sede disciplinare, nel caso del falso materiale per alterazione, è anche espressamente imposto dall’art. 142 bis L.N., il cui primo comma testualmente recita: “Il notaio che ha commesso un fatto che integra gli estremi di uno dei reati previsti dall'articolo 5, primo comma, numero 3°, è punito disciplinarmente con una delle sanzioni di cui all'articolo 147, quando la sua condotta viola quest'ultima disposizione.” L’art. 5, primo comma, n. 3, L.N., cui rinvia l’art. 142 bis L.N., si riferisce ai reati non colposi puniti con pena non inferiore nel minimo a sei mesi e il falso materiale, previsto dall’art. 476 c.p., è punito con la pena edittale minima di un anno.

Il citato art. 142 bis L.N. non presuppone che il notaio sia stato condannato penalmente, ma solo che abbia commesso il fatto che, astrattamente, integra gli estremi del reato contestato.

È, quindi, necessario valutare l’efficacia extra penale del giudicato: se il notaio è stato condannato la relativa sentenza penale irrevocabile di condanna farà stato nel procedimento disciplinare quanto all’accertamento del fatto e della sua illiceità penale e quanto all’affermazione che il fatto è stato commesso dall’autore (art. 159 quinquies, comma 3, L.N., che replica l’art. 653, comma 1-bis, c.p.p.). Se il notaio, invece, è stato assolto, la relativa sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità esclusivamente quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che il notaio non l’ha commesso (art. 653, comma 1, c.p.p.).

Nell’ipotesi di assoluzione, perché il falso è stato dichiarato innocuo o inutile, la sentenza di assoluzione avrà efficacia di giudicato limitatamente all’accertamento che il fatto non costituisce illecito penale, rimanendo impregiudicata l’eventuale rilevanza disciplinare. Il giudice disciplinare avrà l’obbligo di accertare se il fatto sussiste, se l’ha commesso il notaio e se costituisce o no illecito disciplinare. A tal fine potrà avvalersi, come prova atipica, del giudicato penale quanto all’accertamento del fatto (che, ripeto, astrattamente costituisce alterazione dell’atto pubblico, ancorché ritenuta penalmente non sanzionabile) e quanto all’accertamento che il notaio ne è l’autore20.

b) L’art. 147 L.N.

Sotto il profilo disciplinare, pertanto, come peraltro previsto dal citato art. 142 bis L.N., l’art. 147 L.N. sanziona il falso materiale per alterazione dell’atto notarile e che ricorre nelle “postille postume”.

Devo ricordare che, in sede disciplinare è inammissibile valutare un’alterazione come innocua o inutile e quindi non sanzionabile. Infatti, l’alterazione degli atti notarili, dopo il loro perfezionamento che si ha con la firma del notaio, può, comunque, indurre a non fare affidamento sulla loro attendibilità. Con ciò il notaio tradisce l’essenza della funzione notarile, scolpita nell’art. 1 della legge notarile, che è quella di “attribuire loro <agli atti> pubblica fede”.

La legge conferisce al notaio la qualifica di pubblico ufficiale perché esercita una pubblica funzione, che si svolge con l’esercizio di poteri certificativi (art. 357 c.p.), consistenti nell’attribuzione della pubblica fede. Questi poteri sono esercitati su delega dello Stato, e, come tradizionalmente si insegna, il notaio chiude il risultato della sua prestazione professionale con l’apposizione del sigillo che reca, con il suo nome, lo stemma della Repubblica.

Il cattivo o distorto uso di questi poteri costituisce un illecito. Ne esce, quindi, gravemente compromessa la dignità e la reputazione del notaio autore dell’illecito.

Ma è gravemente leso anche il decoro e il prestigio della classe notarile: come è possibile, infatti, affidare il controllo di legalità in molti settori dell’economia e della vita pubblica e privata, a soggetti, che, dimenticandosi di essere investiti di una pubblica funzione, con la loro condotta inducono la collettività a non porre alcuna fiducia proprio nel risultato del loro lavoro, cioè l’atto notarile? È allora evidente che si diffonde la sfiducia verso la classe notarile e il convincimento dell’inutilità o della fungibilità del lavoro del notaio, con danno evidente per tutti i notai.

L’utilizzo delle “postille postume” è, perciò, sanzionata dall’art. 147, comma 1, lett. a), L.N. 21 (norma, secondo la dottrina e la giurisprudenza, relativa agli illeciti a condotta libera), perché idoneo a compromettere la dignità e la reputazione del notaio o il decoro e il prestigio della classe notarile.

Interessante è il caso esaminato dalla decisione della Co.Re.Di. del Piemonte e della Valle d’Aosta 13 giugno 2019 RG 17/19 n. 61/2021: l’originale dell’atto conteneva una clausola per postilla non ricopiata nella copia rilasciata dal notaio incolpato. Il Conservatore, pur sospettando, senza poterlo provare, che la postilla fosse stata aggiunta successivamente alla stipula, riteneva che tale fatto costituisse di per sé un comportamento lesivo della dignità notarile. Tesi accolta dalla Commissione, secondo cui il sospetto rappresentava un grave vulnus della dignità notarile con la conseguente applicazione della sanzione ai sensi dell’art. 147 L.N.

c) Le altre possibili norme disciplinari

1. L’art. 53, comma 1, L.N.

Tra le altre possibili norme disciplinari relative alle “postille postume”, quanto allo spazio in bianco menzionato nel precedente punto 4, ricordo che l’art. 53, comma 1, L.N., non consente lacune o spazi vuoti non interlineati nell’atto che si presenta alle parti per la sottoscrizione. Pur costituendo tale comportamento una precisa violazione del citato art. 53, comma 1, L.N., sanzionato dall’art. 137, comma 1, L.N. 22, non sono a conoscenza di specifiche contestazioni effettuate in sede di ispezione o conseguenti a un procedimento disciplinare in cui si sia provato che le parti hanno sottoscritto l’atto nonostante lo spazio in bianco, riempito solo successivamente al perfezionamento dell’atto stesso.

Di conseguenza, tale comportamento rimane per lo più impunito o assorbito da altre fattispecie di illecito disciplinare.

2. L’art. 53, comma 2, L.N.

Spesso, nei procedimenti disciplinari, viene avanzata la tesi difensiva, secondo cui l’utilizzo delle “postille postume” integra esclusivamente l’illecito previsto dai commi 2 e seguenti dell’art. 53 L.N., pure sanzionato dall’art. 137, comma 1, L.N., ma estinguibile con l’oblazione23.

Tuttavia, “il precetto contenuto in detta norma (art. 53, commi 2 e segg., L.N.) si riferisce esclusivamente alla fase di redazione dell’atto notarile, per cui le alterazioni sanzionate sono solo quelle apportate nel momento della formazione dell’atto, senza le modalità suddette”, come affermato da Cass. 2138/2000 24 e non già le alterazioni successive alla formazione dell’atto, che costituiscono la condotta tipica delle “postille postume”.

3. L’art. 28 L.N.

La sentenza 2138/2000 della Suprema Corte, sopra menzionata, ha statuito che, nel caso, oggetto del relativo processo disciplinare, ricorre la violazione dell’art. 28 L.N., ma si è obiettato che il notaio “modificando ex post il contenuto di un atto, non ha posto in essere un atto notarile autonomo, bensì ha modificato un atto preesistente, quest’ultimo per sé stesso valido”25.

13. Responsabilità civile e “postille postume”

Il notaio può anche incorrere in responsabilità civile a causa delle “postille postume”. Naturalmente è necessario accertare che il notaio abbia effettivamente apposto la postilla dopo la formazione dell’atto, che si perfeziona con la sua sottoscrizione successivamente a quella delle parti.

È anche necessario ricordare che la violazione dell’art. 53 L.N. non è prevista come causa di nullità dell’atto e ciò per espressa disposizione dell’art. 58, ultimo comma, L.N., e, comunque, anche ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., disponendo l’art. 137, comma 1, L.N. la diversa sanzione disciplinare26.

Accertata l’effettiva apposizione di “postille postume”, il notaio può essere condannato al risarcimento dei danni eventualmente causati dal suo comportamento illecito.

Le ipotesi in cui il notaio può incorrere in responsabilità civile sono numerose, ma, certamente le più significative, riguardano le “postille postume” apposte per cercare di sanare un’eventuale nullità dell’atto; tecnica sicuramente non consentita, così come non è consentito, per il medesimo scopo, l’utilizzo dell’art. 59-bis L.N. (paragrafo 3).

Volendo fare degli esempi si possono immaginare, le “postille postume”:

a) apposte nelle vendite per inserire o correggere le menzioni urbanistiche, previste dall’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dagli artt. 30 e 46 del D.P.R. 6 agosto 2001, n. 380, o le dichiarazioni sulla conformità catastale oggettiva, previste dall’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52;

b) apposte nelle vendite per correggere un oggetto o un prezzo indeterminato o indeterminabile (art. 1418, comma 2, c.c.);

c) apposte in un testamento pubblico per inserire l’indicazione dell’ora in cui è avvenuta la sottoscrizione dell’atto (art. 58, comma 1, n. 4, L.N. in relazione all’art. 51, comma 2, n. 11, L.N.).

In tutti gli esempi di cui sopra, gli atti originali sono nulli, le “postille postume” non sanano la nullità, perché “si reputano non avvenute” (art. 53, comma 5, L.N.), per cui gli atti originali rimangono nulli, anche dopo l’apposizione delle “postille postume”.

Conseguentemente, chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c. e art. 100 c.p.c.) può agire in giudizio, citando tutti i contraenti o, se l’attore è parte del contratto, gli altri contraenti o i chiamati all’eredità in forza del testamento, per fare dichiarare la nullità del contratto o del testamento.

I motivi, che spingono ad agire in giudizio per la dichiarazione di nullità del contratto o del testamento, possono essere i più vari: desiderio di rimuovere un contratto, che si ritiene non più conveniente o, nel caso del testamento, desiderio che la successione sia regolata non dal testamento, ma dalla legge, perché ritenuta più favorevole.

È pur vero che, nelle ipotesi menzionate nella precedente lettera a), è ammessa la conferma degli atti nulli anche da una sola delle parti con atto successivo. Sul punto la dottrina notarile27 propende per la tesi secondo cui gli effetti della conferma decorrono ex tunc e non ex nunc. Tuttavia, essendo l’atto originale nullo sottoposto alla pubblicità immobiliare, che può attuarsi solamente mediante un atto valido, gli effetti pubblicitari decorreranno dalla trascrizione dell’atto confermato e non dalla precedente trascrizione dell’atto invalido. Vale a dire che l’atto di conferma avrà sì l’effetto di sanare ex tunc l’atto invalido, ma non anche l’effetto di convalidare una trascrizione effettuata sulla base di un atto invalido. Di conseguenza, poiché la trascrizione della domanda giudiziale, volta ad ottenere la dichiarazione di nullità (art. 2652, comma 1, n. 6, c.c.), ha un effetto prenotativo della trascrizione della sentenza che accoglie la domanda, prevarrà sull’eventuale trascrizione del successivo atto unilaterale di conferma.

È quasi certa, comunque, la chiamata nel processo del notaio, che ha ricevuto o autenticato l’atto originale.

Le successioni per causa di morte

Per approfondimenti:

Le successioni per causa di morte Carbone Carlo, Genghini Lodovico, Ed. CEDAM. Il Manuale, diviso in sette parti, affronta le SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE approfondendone ogni fase, dalla formulazione del testamento, all'apertura della successione, alle vicende successive, con particolare attenzione alle prerogative dei legittimari.

14. Conclusioni

Posso ora precisare le seguenti conclusioni:

a) le “postille postume” integrano gli estremi del delitto di falso materiale per alterazione, previsto dall’art. 476 c.p., e ciò a prescindere dalla loro eventuale punibilità in sede penale;

b) esiste la possibilità che sia contestato anche il falso ideologico per avere falsamente attestata la lettura delle “postille postume”, inesistenti quando le parti e il notaio hanno sottoscritto l’atto;

c) la valutazione, in fatto, se le “postille postume” costituiscano un’alterazione punibile o un falso innocuo o inutile (non sanzionabile penalmente), spetta esclusivamente al giudice penale;

d) l’archiviazione della denuncia penale o la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione non impediscono il procedimento disciplinare, che deve iniziare o, se sospeso, deve essere riassunto;

e) le “postille postume” sono, comunque, sanzionate disciplinarmente, ai sensi dell’art. 147 L.N., essendo inammissibile, in sede disciplinare, il concetto di alterazione innocua o inutile;

f) le “postille postume”, infine, possono far incorrere il notaio in responsabilità civile, oltre che penale e disciplinare.

Ancora due domande:

1) un antico adagio forense recita che, per vincere una causa, devono ricorrere tre requisiti: avere ragione, saperla dimostrare e trovare un giudice che te la dia; il notaio, che appone a un atto pubblico le “postille postume”, convinto che non costituiscano reato perché riconducibili al falso innocuo o inutile, deve anche porsi questa domanda: il giudice penale, un domani, se sarò imputato di falso, la penserà come me?

2) se le “postille postume”, che vengono apposte, verosimilmente costituiscono falso innocuo o inutile (come ad es. quelle destinate a correggere l’inesatta indicazione del numero delle pagine o l’omissione della lettura dell’atto o degli allegati), perché apporle? Soltanto per non pagare, eventualmente a titolo di oblazione, all’esito dell’ispezione ordinaria, poche decine di euro, estinguendo così l’illecito disciplinare?

Le “postille postume” devono essere rigorosamente evitate e ciò presuppone la massima diligenza nella preparazione e nel controllo degli atti prima della loro stipula.

Se l’alterazione, che si vuole operare, è effettivamente innocua o inutile, appunto perché tale la si deve evitare. Se, invece, l’alterazione possa, verosimilmente, integrare il delitto di falso, si deve esclusivamente ricorrere agli strumenti offerti dall’ordinamento, che, quasi sempre, risolvono il problema, anche se con costi e disagio.


NOTE

1 Devoto-Oli.

2 Significativamente chiamato “salvagente” nella prassi notarile.

3 Art. 59 bis - Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato.

4 Gaetano Petrelli, da cui ho mutuato i concetti esposti nella sua approfondita trattazione contenuta nella Rassegna Normativa 2010, secondo semestre, pagg. 5 e segg.

5 Le annotazioni previste dall’art. 59 L.N.

6 Art. 68 - Le disposizioni dell'articolo 53 sul modo in cui debbono essere scritti gli originali e fatte le variazioni, aggiunte o cancellature, sono anche applicabili alle copie, agli estratti ed ai certificati.
Le variazioni però od aggiunte fatte nell'originale nelle forme stabilite nel detto articolo, saranno copiate di seguito nel corpo dell'atto, e non per postilla.
Le copie potranno essere fatte anche colla stampa o con altri mezzi meccanici, come sarà stabilito dal regolamento.

7 Falzone – Alibrandi, Dizionario Enciclopedico del notariato, vol I, 1973, pag. 821.

8 Art. 2700 - L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

9 Vincenzo Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET 1962, vol. VI, 2217, pag. 641.

10 Francesco Antolisei, Manuale di Diritto penale, parte speciale II, Giuffré 1960, pag. 509: questo era il mio testo universitario.

11 Art. 47, comma 2: Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto.

12 Precedente paragrafo 3, lett. d) ed e).

13 Precedente paragrafo 7.

14 “Il reato di falso in atto pubblico e un reato di pericolo, per la cui sussistenza non è necessaria la lesione o la messa in pericolo di beni o interessi di natura patrimoniale, ma e sufficiente la semplice offesa della fede pubblica, bene immateriale non valutabile economicamente.” (Cass.Pen. 1595/1970). “Il delitto di falso in atto pubblico, pur se commesso dal privato ex art. 482 cod. pen., è un reato di pericolo e non richiede alcun dolo specifico, essendo sufficiente la coscienza e volontà della "immutatio veri" e non occorrendo un "animus nocendi vel decipiendi", sicché sussiste il reato anche quando il falso sia stato commesso con la certezza di non produrre alcun danno o di non realizzare lucri non dovuti o nella eventuale opinione di operare lecitamente, e ciò perché l'oggettività del reato di falso consiste nella lesione della pubblica fede e non nell'offesa di altro bene, pubblico o privato.” (Cass.pen.6024/1981).

15 Francesco Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale II, Giuffré, 1960, pag. 510.

16 Segnalata da Angelo Busani ne Il Sole 24 ore del 7 giugno 2004.

17 Precedente paragrafo 11.

18 Vincenzo Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET 1962, vol. VI, 2217, pag. 797.

19 Francesco Antolisei, Manuale di Diritto penale, parte speciale II, Giuffré 1960, pag. 515.

20 Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova. (cfr. Cass.civ.: ord. 25067/2018, sent. 840/2015, sent. 11555/2013).

21 Art. 147 - È punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che pone in essere una delle seguenti condotte:
a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile;
b) viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato;
c) si serve dell'opera di procacciatori di clienti o di pubblicità non conforme ai principi stabiliti dall'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137.
La destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all'ultima violazione.

22 Art. 137 - È punito con la sanzione pecuniaria da 5 euro a 45 euro il notaio che contravviene alle disposizioni dell'articolo 51, secondo comma, numeri 2°, 3°, 4°, 5°, 6°, 7° e 9° e degli articoli 53, 59, 65, 66, 70, 72 e che, nella conservazione degli atti e nella tenuta del repertorio, contravviene alle disposizioni degli articoli 61 e 62.
È punito con la sanzione pecuniaria da 30 euro a 240 euro il notaio che contravviene alle disposizioni dell'articolo 26, dell'articolo 51, secondo comma, numeri 1°, 8°, 10°, 11°, 12° e dell'articolo 67, secondo comma.
È punito con la sanzione pecuniaria da 200 euro a 900 euro il notaio che, nei casi previsti dall'articolo 43, rilascia copie, certificati o estratti.

23 Si legga Cass. 29664/2018, in cui, però, il notaio incolpato eccepiva che si sarebbe dovuto applicare l’art. 53 L.N., in quanto norma speciale, invece dell’art. 147 L.N., che era stato contestato. Eccezione respinta, come già deciso da Co.Re.Di. Veneto Trentino Alto Adige Friuli Venezia Giulia 18/9/2015 CNN 2/2016.

24 Cass. 26 febbraio 2000, n. 2138, con nota adesiva di Giovanni Casu, in Rivista del Notariato, 2000, n. 4, pag. 979.

25 Giovanni Casu citato nella precedente nota 24.

26 Sarebbe, quindi, inconferente il richiamo alla nullità parziale prevista dall’art. 1419 c.c. o alla nullità parziale necessaria prevista dall’art. 36, comma 1, del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo).

27 Studio CNN “La conferma della nullità degli atti aventi ad oggetto i fabbricati e la prassi notarile” n. 1- 2023/P del 22 febbraio 2023.

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