Penale

Riparazione per ingiusta detenzione spetta anche se è ritardata la scarcerazione

Ai fini del riconoscimento dell'indennizzo rilevano anche le vicende successive alla condanna e inerenti l'esecuzione (Cassazione n. 10671/2024)

Il diritto alla riparazione ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen. va riconosciuto anche nel caso in cui l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell'emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena (Cassazione penale, sentenza n. 10671/2024 - testo in calce).

Il fatto

La Corte d'Appello di Firenze accoglieva la richiesta di riparazione ex art. 314 cod. proc. pen., relativa alla detenzione subita da un soggetto per un periodo di ottantacinque giorni, dal 3 marzo 2021 al 27 maggio 2021.

In particolare, con ordine di esecuzione del 17 giugno 2020 era stata calcolata la pena da espiare in anni 2 mesi 7 giorni 28 ed il fine pena era stato individuato al 4 settembre 2022. L’interessato aveva presentato istanza di applicazione della continuazione in sede esecutiva ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. con riferimento ad alcune delle sentenze di condanna, che erano ricomprese nell’ordine di esecuzione.

Nelle more dell'istanza e della fissazione dell'udienza, la Corte di Appello di Firenze aveva revocato la condanna ad un anno di reclusione, emessa dal Tribunale di Firenze e la Procura Generale aveva ricalcolato il fine pena al 6 giugno 2021.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso 45 giorni di liberazione anticipata e l’interessato era stato immeditatamente scarcerato. Successivamente, dopo diversi mesi e oltre il termine ordinatorio di cinque giorni, la Corte di Appello accoglieva la richiesta di riconoscimento della continuazione e ridotto la pena detentiva complessiva da anni 2 mesi 2 di reclusione e 2 mesi di arresto, ad anni 1, mesi 3, giorni 10 di reclusione.

La Corte della riparazione aveva accolto la richiesta di indennizzo, evidenziando come, se il provvedimento con cui era stata riconosciuta la continuazione fosse stato emesso nel termine ordinatorio di cinque giorni previsto dall'art. 128 cod. proc. pen., il condannato sarebbe stato liberato in data 3 marzo 2021 e di conseguenza la carcerazione subita da tale data fino a quella in cui era stato liberato dal Tribunale di Sorveglianza, doveva essere ritenuta ingiusta.

Il ricorso

Avverso l'ordinanza della Corte di Appello, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, proponeva ricorso. Con un unico motivo, deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione. In particolare, veniva evidenziato che al momento della esecuzione esisteva un ordine di esecuzione legittimo e che le vicende successive, quali il riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata e della continuazione, di per sé, non sono idonee ad incidere sulla legittimità dell'ordine di esecuzione e, dunque, sulla valutazione della ingiustizia della detenzione.

Veniva evidenziato, altresì, che il mancato rispetto di un termine rende privo di efficacia il provvedimento restrittivo della libertà personale nei soli casi previsti dalla legge.

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento rigettava il ricorso.

In primo luogo, la Suprema Corte, nel motivare il rigetto, richiamava la sentenza n. 310 del 18-25 luglio 1996 la Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente subita a causa di erroneo ordine di esecuzione. La norma, infatti, era in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e violazione dell'art. 5 della Convenzione EDU.

Non essendosi pronunciata, però, con riferimento ai presupposti per il riconoscimento del diritto, la Corte Costituzionale ha rimesso il compito all' interprete.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il diritto all'equa riparazione doveva essere escluso in tutti i casi in cui la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e pena eseguita conseguisse a vicende posteriori alla condanna, connesse al reato o alla pena. In seguito, tuttavia, la Suprema Corte ha preferito riconoscere rilievo anche alle vicende successive alla condanna e inerenti l'esecuzione.

Nella motivazione della sentenza in commento viene richiamata un’altra pronuncia che ha fissato dei principi ben dettagliati al riguardo (Cass. Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017), illustrando tutte le molteplici fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo - o divenuto tale successivamente - per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato e che legittimano il riconoscimento del l diritto alla riparazione per ingiusta detenzione.

Sulla scorta di siffatto ragionamento logico giuridico, la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto alla riparazione ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen. anche qualora l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell'emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena.

È stato altresì precisato che la detenzione sine titulo, legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo qualora si verifichi violazione di legge, da parte dell'autorità procedente, e non anche nel caso in cui la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all'esercizio di un potere discrezionale.

Peraltro, sempre secondo la Corte, non si può qualificare come ingiusta una detenzione sofferta in eccedenza rispetto alla pena, come conseguenza dell'esercizio del potere discrezionale da parte del giudice dell'esecuzione, che riconosca il vincolo della continuazione tra i reati oggetto di diverse sentenze.

Tuttavia, nel caso in questione è stata riconosciuta come ingiusta la detenzione subita in eccedenza quale conseguenza del tempo intercorso fra la data in cui il provvedimento decisorio avrebbe dovuto essere depositato e la data in cui detto provvedimento era stato effettivamente depositato.

Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, Castronuovo Donato, Donini Massimo, Mancuso Enrico Maria, Varraso Gianluca, CEDAM, 2023.
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