Penale

La tutela penale del reato di rivelazione di segreti scientifici e industriali

Tra riflessi dell'innovazione tecnologica, know-how aziendale e libertà d’impresa

La Corte di Cassazione è stata investita della questione afferente la protezione penale del c.d. know-how, in particolare soffermandosi sulla fattispecie prevista dall’art. 623 c.p., che sanziona la rivelazione o l’uso di informazioni segrete su scoperte scientifiche, invenzioni e applicazioni industriali, compiute in violazione di un rapporto fiduciario di natura professionale. Nel presente contributo si evidenziano i caratteri essenziali della nozione di “segreto” penalmente rilevante, alla luce delle diverse teorie esistenti e l’ampiezza e flessibilità della definizione normativa, per poi soffermarsi sulle ombre che ancora vi sono e che la Corte di legittimità ancora non dissolve del tutto.

Sommario

Considerazioni introduttive

Il commento che oggi ci occupa riguarda fattispecie delittuose molto particolari.

Pur trattandosi di disposizione di non frequente applicazione nelle aule di giustizia, è altresì una fattispecie di particolare impatto e rilievo in ragione degli interessi considerati dalla norma e dal bene giuridico protetto – da individuarsi, nonostante la collocazione della norma nel codice penale1, in interessi di natura economico-patrimoniale rilevanti sotto due profili: il profitto sul piano concorrenziale conseguente allo sfruttamento delle conoscenze che debbono rimanere segrete ed il costo per l'acquisizione di suddette conoscenze in termini di ricerca nell'ambito dell'impresa o di acquisto da terzi. In questa prospettiva la scelta incriminatrice si basa essenzialmente sulla particolare insidiosità delle condotte di violazione del segreto tenute da soggetti aventi particolari relazioni con la notizia segreta e non sul mancato rispetto del dovere di fedeltà da parte dei soggetti ad esso tenuti e, in particolare, del lavoratore subordinato, che caratterizza, invece, la tutela civilistica.

Al fine di recuperare per quanto possibile la dimensione reale della questione che occupa e riportare l'area dell'incriminazione penale entro i limiti della concreta offensività del fatto, valga il vero che, in questo caso, la condotta penalmente rilevante non è, d'altra parte, di per sé una condotta di concorrenza sleale civilisticamente rilevante (art. 2598 c.c.), giacché lo sfruttamento a proprio o altrui profitto del segreto può non danneggiare la altrui azienda. La fattispecie in esame incrimina, dunque, direttamente e autonomamente la violazione del segreto industriale commessa da intranei e può costituire, in pratica, anche una tutela anticipata rispetto a manovre concorrenziali più insidiose e non altrimenti penalmente sanzionate.

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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Anticipiamo, fin da subito, il tema centrale della odierna riflessione ossia la necessità di delimitare il segreto industriale, di connotarlo nei suoi aspetti e, infine, verificare se possa essere inquadrato e riconosciuto on tutti quei processi con cui un'azienda assembla ed organizza singoli elementi di conoscenza, anche se noti al pubblico.

Si rende necessaria un'indagine attenta e scrupolosa dei riferimenti normativi, della loro evoluzione e del loro significato, nonché di tutti i precedenti giurisprudenziali (in realtà, non tanti) che si sono avvicendati ed intervallati tra alcuni interventi legislativi.

Qualche premessa terminologica.

Riguardo all'oggetto specifico del segreto industriale, per scoperta scientifica si intende il riconoscimento e la rivelazione di fenomeni già esistenti: un corpo o le sue proprietà o le leggi naturali del mondo fisico, che pur arricchendo il patrimonio culturale, non modificano il preesistente stato oggettivo delle cose e non si sostanziano direttamente in una concreta regola tecnica. Per invenzione si intende l'acquisizione della conoscenza di nuovi rapporti causali per l'ottenimento di un determinato risultato riproducibile indefinitamente, con la dominabilità dunque dei fenomeni finalizzata ad uno scopo empirico. L'invenzione è scientifica quando vi sia uno stacco, seppure modesto, da quanto ottenibile dalle cognizioni già note; peraltro non è richiesta la sussistenza di una precisa spiegazione scientifica delle dinamiche operanti, a cui si può pervenire casualmente2.

E’ necessario anche ribadire come siano oggetto di tutela anche le notizie relative ad alcuni elementi accertati ma non sufficienti per il raggiungimento del risultato cercato e, dunque, anche semplici ricerche, in quanto, da un lato, tale interpretazione è consentita dalla lettera della norma che sanziona genericamente la rivelazione di notizie segrete "sopra" invenzioni e, dunque, la rivelazione anche parziale di processi inventivi; dall'altro, va rilevato che anche in tale ipotesi v'è un interesse economico (in termini di costi sostenuti e di risultati da conseguire) ad impedire che terzi acquisiscano la chiave per individuare gli anelli mancanti all'invenzione ed al suo sfruttamento industriale. A maggior ragione sono tutelate anche le operazioni fondamentali per la realizzazione dei prototipi di un determinato impianto quando costituiscano il "cuore" degli stessi e siano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa.3

Non rientrano, invece, nella previsione, in ossequio al principio di tassatività, le fasi iniziali della ricerca e l'abbozzo delle idee inventive4, sebbene in senso contrario si affermi che anch'esse, pur non costituendo il "prodotto finito", attengono ad elementi essenziali per la buona riuscita della ricerca.

La fattispecie in esame non richiede il requisito della novità di invenzioni e applicazioni industriali, distaccandosi dalle norme in materia di brevettabilità che richiedono la assenza di una previa divulgazione, di scoperte e invenzioni. È necessario però che si tratti di notizie non notorie, non debbono, cioè, fare parte del bagaglio culturale di base, seppur raffinato, dell'esperto del ramo oppure dell'operatore medio, bagaglio in cui sono ricomprese anche le informazioni non ancora comuni e diffuse ma effettivamente accessibili mediante ordinarie indagini e ricerche5.

La sentenza in commento, pronunciata in riferimento alla rivelazione del segreto scientifico e industriale prevista all'art. 623 c.p.

La sentenza che si commenta è recentissima; depositata il 28 gennaio 2024 (sentenza n. 3211), la Sezione Quinta Penale della Corte di Cassazione (Pres. Rosa Pezzullo, Rel. Rosaria Giordano) si occupa della riforma di una pronuncia della Corte di Appello di Trieste che nel 2022 aveva dichiarato di non procedersi per intervenuta prescrizione confermando, per il resto, la sentenza di condanna di primo grado.

Ebbene, i ricorrenti presentavano ben otto motivi di ricorso.

Tralasciando quelli afferenti vicende processuali e formali che poco interesse hanno e possono avere, almeno in questa sede, meritevoli di attenzione sono certamente quelli con cui La Corte entra nel merito, laddove non ravvisa la loro inammissibilità.

“Nella giurisprudenza di legittimità è stato da tempo chiarito che, in tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, il concetto di notizia destinata al segreto va elaborato, sotto l’aspetto soggettivo, con riferimento all’avente diritto al mantenimento del segreto stesso e, sotto l’aspetto oggettivo, all’interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il cd. know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio, la manutenzione di un apparato industriale”.

Più segnatamente, il segreto industriale è “quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione (ex ceteris, Sez. 5 n. 25008 del 18.05.2001).

A questo punto, si impone una riflessione; questa definizione di segreto industriale, che per anni è stato il punto di riferimento esegetico per quelle – poche – pronunce di merito che si sono occupate della fattispecie ex art. 623 c.p., può essere una lettura appagante anche per l’interprete più esigente ma solo, a mio parere, la si integra con alcuni incisi6.

Peraltro, questa esigenza l’ha avvertita anche il Collegio emittente laddove ha inteso la necessità che “questi concetti debbano essere ulteriormente puntualizzati nel senso che, considerati i rilevanti e crescenti costi che si rendono necessari per la ricerca scientifica orientata allo sviluppo di tecnologie competitive dei mercati ormai globali”.

Argomentano ancora i Giudici di legittimità specificando come il delitto di cui all’art. 623 c.p. “debba ritenersi configurato tutte le volte che venga rivelato indebitamente un segreto che riguardi anche una sola parte del relativo processo produttivo, senza che sia dunque necessario che detta rivelazione attenga a tutte le componenti de prodotto medesimo”.

Il percorso esegetico e argomentativo si conclude con la precisazione “ciò che assume rilievo nella delimitazione del concetto di notizia destinata al segreto è che vi siano comprese le operazioni fondamentali per la realizzazione dei prototipi di un determinato impianto, operazioni che costituiscono il “cuore” degli stessi e che siano il frutto della cognizione e della organizzazione della impresa (il rimando è a Cass. Sez. 5, n. 25174 del 07.06.2005)

Ora, qualche considerazione deve essere svolta.

A ben vedere, la disputa che si è delineata intorno a questa fattispecie, o meglio, alla sua interpretazione relativamente all’estensione del concetto di segreto e che ha involto il relativo dibattito potrebbe apparire come risolto e sopito alla luce delle precisazioni della Corte di Cassazione con e le sentenza oggi in commento.

Eppure, la problematica non si risolve con una più precisa individuazione degli anditi del processo entro cui confinare la condotta di coloro che producano beni “copiando” il risultato scientifico e commerciale, spesso approfittando di rapporto di impiego con la società “madre”, così da ricevere un deciso aiuto.

Un assetto anacronistico

Dobbiamo ricordare come in tema di delitti contro la inviolabilità dei segreti, la nozione di segreto industriale non brevettato, oggetto del reato ex art. 623 c.p. aveva subito una notevole riduzione a seguito dell’entrata in vigore del codice della proprietà (d.lgs. 30 del 2005) così da ritenere superata quella giurisprudenza che aveva dato una nozione ampia del concetto di segreto industriale e che, dobbiamo dirlo, ha spesso animato il percorso di alcuni giudicanti.

E’ indubbio quindi come l’arrete di riferimento seguito, a parere di questa difesa sia stata la sentenza Cass. 25008/2001, sia e debba essere un archetipo superato specie con l’introduzione del codice della proprietà industriale.

Non solo perché non vi è una stretta coincidenza tra le condotte che si imputano come violative e quelle imputabili al dettato dell’art. 623 c.p. ma anche perché è da ritenere superata quel concetto - ampio – di segreto industriale, intendendo per tale quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errore di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione(cfr. Trib. La Spezia, 26.11.2007 – Trib. Monza 25 gennaio 2005).

Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale in data 7 giugno 2018 il Decreto Legislativo 11 maggio 2018, n. 63 attuativo della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, porta con sé tutta una serie di novità sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti.

Tra le novità apportate dal provvedimento vi è la modifica sostanziale dell’art. 623 c.p.; il testo precedente prevedeva che “Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni. 2. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

La nuova formulazione recita, invece, così:

1. Chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni. 2. La stessa pena si applica a chiunque, avendo acquisito in modo abusivo segreti commerciali, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto. 3. Se il fatto relativo ai segreti commerciali è commesso tramite qualsiasi strumento informatico la pena è aumentata. 4. Il colpevole è punito a querela della persona offesa.

Se il Legislatore con la modifica della disposizione normativa in esame si è mosso seguendo la ratio di tutelare la libertà e segretezza dei rapporti professionali, nonché l'interesse alla loro conservazione, che riguardano determinate categorie di professionisti e i loro dipendenti.

In estrema sintesi, il bene giuridico oggetto di tutela è dunque l'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi che caratterizzano la struttura industriale: il c.d. know how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale.

Certamente, il bene giuridico è il diritto di inedito, in quanto la norma tutela scoperte invenzioni, idee innovative costituenti, in quanto manifestazioni dell’attività intellettiva, espressioni essenziali della personalità.

Se dobbiamo rammentare che la condotta penalmente rilevante non è di per sé una condotta di concorrenza sleale civilisticamente apprezzabile ex art. 2598 c.c., parimenti il bene tutelato è quel patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale.

Secondo la Cassazione (Cass. penale sez. V, 11/02/2020, n. 16975) nell'art. 623 c.p. è accolta una nozione di segreto commerciale più ampia di quella descritta dall'art. 98 c.p.i. e, laddove non sussistano i requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i., l'esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto dovrà essere individuato7.

Qualche precisazione.

Per quanto concerne gli elementi di novità e di originalità del prodotto nonché delle possibili applicazioni industriali, essi non sono essenziali ai fini della configurazione del delitto ed infatti non si rinviene alcun riferimento letterale.

Viene inoltre ritenuto irrilevante che l'apprensione di segreti scientifici o industriali sia avvenuta legittimamente o meno, essendo sufficiente la rivelazione o l'impiego per un proprio o altrui profitto delle notizie, ma solamente nel caso in cui esse siano state apprese per ragioni del proprio stato o ufficio.

Ma qual è il contenuto del segreto industriale?

La norma individua come oggetto del segreto le scoperte, le invenzioni e le applicazioni industriali.

Già il fatto che tali nozioni non vengano definite nei loro contorni ha costituito un vero vulnus della tassatività e determinatezza della fattispecie.

Rimane una nozione inadeguata che, tuttavia, può essere “riempita” dalla disciplina dettata in tema di proprietà industriale, laddove l’art. 98 del decreto legislativo 30/2005 ha affermato come costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico – industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili ed agli operatori del settore;

b) abbiano valore economico in quanto segrete;

c) siano sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Il decreto in parola ha riprodotto, semplificandole e coordinandole, tutte le disposizioni riguardanti i diritti di proprietà industriale originate da diverse fonti normative

Continuando ad indagare sulla nozione di segreto ed in particolare sulle sue accezioni, per invenzione si intende l’acquisizione della conoscenza di nuovi rapporti causali per l’ottenimento di un determinato risultato riproducibile indefinitamente.

L’invenzione è scientifica quando vi sia uno stacco, seppure modesto, da quanto ottenibile dalle condizioni già note.

Per la tutela è necessario altresì che si tratti di notizie non notorie; quando il risultato delle conoscenze sono tutte rientranti nello stato dell’arte conosciuta ovvero nota all’epoca dei fatti posti in contestazione, si fatica a ravvisare l’integrazione della fattispecie criminosa.

Parimenti dicasi per il concetto di applicazioni industriali.

Infatti anche a voler aderire a quell’orientamento “estensivo” che vuole ricomprendere “i metodi di organizzazione e di produzione dell’impresa di cui all’art. 2105 c.c.”,

* * *

Un ulteriore profilo deve essere accennato.

La tutela penale del know how ha ad oggetto l'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi che caratterizzano la struttura industriale e, quindi, il c.d. know how, vale a dire quel patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale. Si tratta di un patrimonio di conoscenze il cui valore economico è parametrato all'ammontare degli investimenti (spesso cospicui) richiesti per la sua acquisizione e al vantaggio concorrenziale che da esso deriva, in termini di minori costi futuri o maggiore appetibilità dei prodotti. Esso si traduce, in ultima analisi, nella capacità dell'impresa di restare sul mercato e far fronte alla concorrenza. L'informazione tutelata dalla norma in questione è, dunque, un'informazione dotata di un valore strategico per l'impresa, dalla cui tutela può dipendere la sopravvivenza stessa dell'impresa.

La tutela penale del know how non richiede la sussistenza dei presupposti per la brevettabilità (così, Cassazione penale sez. V, 11/02/2020, n. 16975).

Il vero tema: il confine tra informazioni su cui può essere imposta la segretezza e la sfera delle conoscenza che fanno parte della formazione professionale del lavoratore

Siamo arrivati ad affrontare uno dei punctum dolens della nostra analisi.

Nell'ordinamento italiano la tutela del segreto industriale opera a vari livelli, articolandosi in due tipi diversi di normativa: l'una civile, l'altra penale.

Quanto alla prima, essa si rinviene fondamentalmente nell'art. 2105 del codice civile - " Obbligo di fedeltà" -, che vieta al prestatore di lavoro di "divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio". La norma è volta a proteggere l'interesse del datore di lavoro a che non avvenga la diffusione o l'uso di segreti aziendali; interesse che continua ad essere tutelato anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, purché formalizzato in un apposito patto di non concorrenza previsto dall'art. 2125 c.c.

Per quanto attiene alla seconda - quella penale -, abbiamo finora osservato come la protezione è assicurata dall'art. 623 c.p. - " Rivelazione di segreti scientifici e industriali" -, sul quale, per l'appunto, ci soffermeremo in seguito, nonché dall'art. 622 c.p. - " Rivelazione di segreto professionale".

Dare, offrire una soluzione a quella alternativa che spesso confligge e che rappresenta uno delle genesi che hanno originato i procedimenti in cui si contesta l’imputazione ax art. 623 c.p. ossia l’interesse alla libera utilizzabilità delle conoscenza acquisite con e nel lavoro e – a volte - la pretesa di una sorta di permanente signoria sulle conquiste tecnologiche realizzate nell’impresa in cui il dipendente ha prestato le proprie energie lavorative, è una domanda la cui trattazione non è più differibile.

Qualche precisazione metodologica deve essere squadernata laddove deve essere mentovato come:

  • non sono, e non possono essere, segrete le conoscenze comuni e le informazioni accessibili all’esperto del settore essendo indifferente che quel singolo lavoratore le abbia acquisite nello svolgimento del lavoro dipendente o d’impresa;
  • l’impresa rivendicatrice non può invocare alcun primato in ordine ad una posizione di primogenitura di qualsivoglia applicazione od apparato laddove le stesse siano un prodotto semplice, in commercio da moltissimo tempo,
  • In sostanza, per il genere di prodotto in discussione, non sarebbe prospettabile un know how una volta che il prodotto sia stato posto in commercio così da far assurgere tale tutela ad un arbitrio assoluto.

Su questo specifico profilo, la Corte di Cassazione (sez. V - 11/02/2020, n. 16975, ha stabilito “che il tema della possibilità di definire l'oggetto dell'art. 623 c.p. (e in parte anche dell'art. 622 c.p.), mutuandone la descrizione dall'art. 98 c.p.i. - che individua l'oggetto della tutela nelle informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte di persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure ragionevolmente adeguate - non possa essere affrontato attribuendo all'art. 98 c.p.i. la funzione di norma integrativa, poichè questo implicherebbe che, al concetto di segreto industriale, come definito da tale norma, possa essere attribuito valore generale. Ma ciò contrasta con il dato che lo stesso codice della proprietà industriale, all'art. 99, facendo salva la disciplina della concorrenza sleale, riconosce l'esistenza di segreti industriali che, pur non rispondendo ai criteri indicati dall'art. 98 c.p.i., sono meritevoli di tutela. Il riferimento alla disciplina della concorrenza sleale, contenuto nell'art. 99, comporta che l'art. 2598 c.c., sia applicabile, in via complementare, qualora gli atti di acquisto, utilizzazione e divulgazione - pur avendo ad oggetto informazioni non qualificabili come "informazioni segrete" per mancanza dei requisiti di cui all'art. 98 c.p.i. soddisfino i requisiti soggettivi e oggettivi prescritti per l'azione di concorrenza sleale, come ad esempio nel caso di sottrazione di dati oggettivamente riservati, per i quali non siano state adottate misure di segretezza”.

I giudici di legttimità proseguono il loro percorso argomentativo deducendo come “il legislatore della novella, pur avendo espressamente affermato, all'art. 9, comma 2, che "le notizie destinate a rimanere segrete sopra applicazioni industriali di cui alla formulazione previgente del medesimo art. 623, costituiscono segreti commerciali", per definire i requisiti del know how, non ha, invece, operato, nel ridefinire la norma penale a tutela del segreto, alcun richiamo all'art. 98 del c.p.i.

Piuttosto, deve registrarsi il recepimento degli indirizzi evolutivi affermati della giurisprudenza, cosicché, anche dopo l'intervento legislativo del 2018, può escludersi che il concetto penalistico di segreto soffra interferenze ad opera di quello ricavabile dall'art. 98 del codice di proprietà industriale (in tal senso Cass. Pen., Sez. 2, 11 maggio 2010, n. 20647; Sez. 5 n. 48895 del 20/09/2018, entrambe non mass.), risultando accolta, dall'art. 623 c.p., una nozione di segreto commerciale più ampia di quella descritta dall'art. 98 c.p.i.. Questo comporta che, se l'art. 98 c.p.i. non è norma idonea a definire i confini applicativi della fattispecie previsti dall'art. 623 c.p. - potendosi riscontrare, invece, solo una mera identità terminologica nel riferimento ai "segreti commerciali", non sufficiente per giustificare una assimilazione anche della disciplina, in due settori diversi e indipendenti dell'ordinamento - tuttavia, in presenza di un know-how avente i requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i., potrà accordarsi la tutela prevista dall'art. 623 c.p., trattandosi di notizie segrete ed essendovi un interesse giuridicamente tutelato al mantenimento del segreto. Laddove, invece, non sussistano i requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i., dovrà individuarsi aliunde l'esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto.

Corollario di questo principio e che il lavoratore che deduca che le informazioni asseritamente segrete appartengono da sempre al suo personale patrimonio di competenze così da invocare nei suoi confronti la direttiva UE sulla tutela del principio di libera circolazione dei lavoratori, peraltro, garantita dalla Costituzione, dovrà necessariamente essere destinatario di uno scrutino teso e diretto, circa la ricostruzione nello specifico della violazione, alla verifica se il complesso delle informazioni ulteriori e successivamente acquisite che ha portato alla elaborazione di un know how originale e altamente sofisticato, siano state acquisite nel bagaglio di conoscenze acquisito nel corso del suo rapporto alle dipendenze della società.

* * *

Il caso affrontato dalla Corte. La tecnica del "reverse engineering"

Come noto, con tale espressione si intende l'attività di osservazione e studio di un prodotto e delle sue caratteristiche tramite la quale è possibile comprendere la tecnologia (in ipotesi segreta) con cui il prodotto è stato realizzato e così replicarla. Si tratta di una modalità lecita con cui è possibile risalire a una tecnologia segreta, modalità espressamente prevista dall'art. 98 c.p.i. che, alla lett. a), per l'appunto esclude dal novero dei "segreti commerciali" (secondo la terminologia da ultimo introdotta per individuare le informazioni segrete a seguito dell'attuazione in Italia della Direttiva "trade secrets", ossia la Dir. UE, 2016/943 dell'8 giugno 2016) quei dati che siano "facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore".

Anche la sopra citata Direttiva trade secrets menziona espressamente il reverse engineering, qualificandolo come un mezzo lecito per conseguire un segreto commerciale: così dispone l'art. 3, comma 1, lett. b), secondo cui "L'acquisizione di un segreto commerciale è considerata lecita qualora il segreto commerciale sia ottenuto con una delle seguenti modalità: [...] b) osservazione, studio, smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni, il quale è libero da qualsiasi obbligo giuridicamente valido di imporre restrizioni all'acquisizione del segreto commerciale" (cfr. anche il considerando 16 di detta Direttiva). Nello stesso senso del provvedimento in commento, si vedano, tra gli altri, Trib. Bologna, 11 aprile 2017 (6531/2) e gli altri precedenti ivi citati, nonché Trib. Bologna, 1° febbraio 2017, ord. (6507/1) (che, peraltro, esprime il principio uguale e contrario secondo cui il reverse engineering, se "di alta complessità", non fa venire meno il requisito della segretezza del know how, poiché tale requisito deve intendersi non già come impossibilità assoluta di accesso alle informazioni, quanto come estrema difficoltà di reperirle)8.

Non sono tutelabili ai sensi degli artt. 98-99, c.p.i., informazioni tecniche che sono facilmente accessibili, perché acquisibili per reverse engineering in tempi e con costi ragionevoli da parte di chiunque acquisti un dispositivo in commercio ed abbia adeguate conoscenze di elettronica9.

Ora, la Corte di legittimità con la sentenza in commento, ha evidenziato come in tema di rivelazione di segreti scientifici o commerciali, la nozione di "segreti commerciali", oggetto del reato di cui all'art. 623 cod. pen., come modificato dall'art. 9, comma 2, D.Lgs. 11 maggio 2018, n. 63, non è assimilabile a quella, pur avente medesima denominazione, di cui all'art 98 del D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (codice della proprietà industriale), che richiede, ai fini della tutela, che le informazioni aziendali e commerciali ed esperienze sulle applicazioni tecnico industriali debbano avere i requisiti di segretezza e rilevanza economica ed essere soggette, da parte del legittimo detentore, a misure di protezione ragionevolmente adeguate10, ma comprende, estendendo l'ambito di tutela penale, anche tutte quelle ulteriori informazioni su produzioni industriali e programmi commerciali, pur non rispondenti ai suddetti requisiti normativi, per le quali sia individuabile un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto11.

La tutela ex artt. 98-99, c.p.i., è concessa contro le condotte di acquisizione, utilizzazione e rivelazione di informazioni, purché poste in essere "in modo abusivo", risultando comunque esclusa ogni qualvolta l'informazione sia ottenuta dal terzo "in modo indipendente". Tra le acquisizioni lecite di know-how rientrano quelle derivanti da reverse engineering12.

nella giurisprudenza di legittimità è stato da tempo chiarito che, in tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, il concetto di notizia destinata al segreto va elaborato, sotto l'aspetto soggettivo, con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (il titolare dell'azienda) e, sotto l'aspetto oggettivo, all'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale e, pertanto, il così detto know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo ed organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale. Vi è dunque che oggetto della tutela penale del reato in questione deve ritenersi il segreto industriale in senso lato, intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione13.

Ne consegue che la tecnica del "reverse engineering" che, mediante l'esame di un macchinario o di un prototipo di esso lo ricostituisce, è un'attività rientrante nel novero dell'impiego di segreti industriali penalmente sanzionato dall'art. 623 c.p., in quanto sarebbe altrimenti facilmente elusa la tutela del segreto industriale riproducendo, anche ripetutamente, il prodotto di un'impresa che ha sviluppato per l'ideazione dello stesso complessi progetti di ricerca. Invero, la tecnica in questione non è che una sofisticata modalità di copia di un prodotto.

Tale posizione non convince del tutto.

Difatti, se allorquando si discorra della sottrazione di informazioni riservate, la giurisprudenza è solita considerare legittima la condotta del soggetto che abbia ottenuto le informazioni attraverso attività reverse engineering a condizione che tali attività siano "facili" per gli esperti del settore e che non ricorrano ulteriori profili di slealtà della condotta considerata14.

La tutela ex artt. 98-99, c.p.i. sarebbe quindi concessa contro le condotte di acquisizione, utilizzazione e rivelazione di informazioni, purché poste in essere "in modo abusivo", risultando comunque esclusa ogni qualvolta l'informazione sia ottenuta dal terzo "in modo indipendente".

Tra le acquisizioni lecite di know-how rientrano quelle derivanti da reverse engineering.

Certo, non può rimanere negletta un’altra sentenza della Corte di Cassazione15, laddove si è statuito come “l'ambito di applicazione dell'art. 623 c.p. va oltre la sfera di protezione predisposta dall'ordinamento civilistico per l'invenzione brevettabile posto che, ai fini della tutela penale del segreto industriale, novità (intrinseca od estrinseca) ed originalità non sono requisiti essenziali delle applicazioni industriali, poiché non espressamente richiesti dal disposto legislativo e perché l'interesse alla tutela penale della riservatezza non deve necessariamente desumersi da questi attributi delle notizie protette. Inoltre, non è necessario che ogni singolo dato cognitivo che compone la sequenza sia "non conosciuto", essendo sufficiente che il loro insieme organico sia frutto di un'elaborazione dell'azienda giacché è attraverso questo processo che l'informazione finale acquisisce un valore economico aggiuntivo rispetto ai singoli elementi che compongono la sequenza cognitiva”

Sulla differenza tra informazioni segrete aziendali e notizie di rilevanza industriale destinate a rimanere segrete

Non vi è necessaria coincidenza fra la nozione di informazioni segrete aziendali ex art. 98 d. lgs. n. 30 del 2005 e le notizie di rilevanza industriale destinate a rimanere segrete ex art. 623 c.p., come dimostra, del resto, l'anteriorità della norma del codice penale rispetto alla tutela del know-how introdotta nel 2005 dal Codice della proprietà industriale; inoltre, le informazioni segrete ex art. 98 d.lg. n. 30 del 2005 non esauriscono l'ambito di tutela delle informazioni riservate in ambito industriale, pur sempre esperibile anche attraverso la disciplina della concorrenza sleale contro gli atti contrari alla correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. nei confronti della scorretta acquisizione di informazioni riservate, ancorché non caratterizzate dai requisiti di segretezza e segretazione di cui all'art. 98 d.lg. n. 30 del 2005 (nella specie, la Suprema Corte conferma la decisione d'appello impugnata che aveva ritenuto responsabile l'imputato del reato di accesso abusivo a un sistema informatico ex art.615-ter c.p., per avere egli, al momento delle proprie dimissioni dal datore di lavoro società costituita parte civile, senza preventivo permesso, copiato su DVD alcuni files contenenti dati riservati del datore di lavoro, procedendo altresì in modo irreversibile alla cancellazione dei dati contenuti sul PC aziendale in uso, nonché del reato di tentata rivelazione di segreti industriali, in applicazione dell'art. 623 c.p., nella formulazione precedente alla modifica recata dal d.lgs. n. 63 del 2018;

In particolare, la Suprema Corte16 afferma, con riferimento alla “notizia destinata al segreto” di cui all'art. 623 c.p., che essa va intesa come quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione, indipendentemente dal fatto che tale “notizia” sia o non sia corredata in concreto dai requisiti di segretazione richiesti dall'art. 98 d.lgs. n. 30 del 2005, nella formulazione precedente alla modifica recata dal d.lgs. n. 63 del 2018).

Bisogna anche formulare un’altra eccezione, illustrare un altro elemento mal si concilia con la rilevanza industriale di alcune informazioni tendenzialmente segrete.

Se è vero che in capo al lavoratore, anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro si rinviene un dovere di segretezza allorquando vi sia qualcosa da “tenere segreto”, a ciò - ossia all’uscita del lavoratore dalla compagine sociale – non devono conseguire limitazioni intollerabili con le le capacità creative del lavoratore.

Specie, val la pena ribadirlo, se i lavoratori – una volta usciti dalla compagine e si siano apprestati ad intraprendere una impresa nella steso ambito industriale - non abbiano hanno ricevuto notizie dal datore di lavoro specificamente destinate a rimanere segrete.

Al riguardo, qualche elemento di riflessione proviamo ad offrirlo.

Potrebbe rappresentare ed essere una valida strategia difensiva per arginare la latitudine asfissiante del concetto di segreto dimostrare che i lavoratori – ex dipendenti – non abbiano acquisito alcun quid pluris, alcun elemento aggiuntivo rispetto a quelle acquisibili normalmente dalla manualistica di riferimento, al proprio complesso di conoscenze ed esperienze tecniche.

Vieppiù.

Dimostrare se si versi in ipotesi di violazione di segreto industriale allorché un’impresa sfrutti il bagaglio cognitivo di un lavoratore già alle dipendenze di altra impresa al fine di produrre beni simili a quelli da questa fabbricati.

L’orientamento espresso dal consesso di legittimità sottende la condivisibile argomentazione secondo cui nell’alveo delle informazioni aziendali protette non debbano annoverarsi le cognizioni tecniche e speciali che fanno parte del patrimonio del lavoratore.

Diversamente opinando si arriverebbe al duplice inammissibile risultato della vanificazione dei valori della libertà individuale inerenti la personalità del lavoratore e dell’assicurazione all’impresa precedente datrice di lavoro di una rendita parassitaria derivante una volta per tutte dalle scelte a suo tempo fatte con l’assunzione di quel dipendente17.

E ancora.

La condotta tesa ad assicurarsi le prestazioni lavorative di uno o più dipendenti di una impresa concorrente è tendenzialmente lecita quale espressione della libertà di circolazione dei lavoratori.

Il confine tra illiceità e liceità è segnato dalla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’azienda concorrente – cd. animus nolendi - 18.

In conclusione, risulta più semplice tutelare il segreto industriale quando esso concerna un processo produttivo che per sua natura trova origine nell’azienda o richieda necessariamente, per il suo utilizzo, l’accesso nella azienda stessa.

Non solo. Allo stato delle cose è inevitabile come la norma penale ex art. 623 sia un utile baluardo a corredo della - giusta – tutela civilistica ex art. 2598, n. 3 del c.c., dinanzi all’assunzione di personale dipendente di altra azienda o, comunque, alla ricerca della loro collaborazione non per la capacità di lavoro dei medesimi ma per l’utilizzazione di conoscenze tecniche (Know how) usate presso l’altra azienda e non in possesso del concorrente.

Tuttavia, rimane ampio il margine di incertezza per quei lavoratori che vengano accusati del reato di rivelazione di segreto industriale, specificamente di know how industriale, per aver intrapreso la produzione di macchinari – già prodotti dalla azienda ex datrice di lavoro – magari realizzati con tempi di progettazione e di confezionamento brevissimi e senza ostacoli ed errori, proprio utilizzando le capacità e le conoscenze professionali (ossia il know how) anche maturate nella precedente esperienza lavorativa.

E’ per questo che sull’art. 623 c.p. ancora non cala il sipario e la Corte di Cassazione dovrà nuovamente tornare sul tema.

>>Leggi anche:

Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, Castronuovo Donato, Donini Massimo, Mancuso Enrico Maria, Varraso Gianluca, CEDAM, 2023.
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1 Il codice Rocco colloca il delitto di rivelazione di segreto industriale tra i delitti contro la libertà individuale e subordina la sua punibilità alla presentazione della querela da parte della persona offesa, differenziandosi dal codice Zanardelli che lo inseriva tra i reati contro la fede pubblica e lo perseguiva d'ufficio (Cocco, 434). Il mutamento di collocazione viene ascritto nella Relazione ministeriale sul Progetto del codice penale (in Lav. prep., II, Roma, 1929, 432) all'individuazione dell'interesse tutelato in quello dello scopritore o inventore ad esigere la conservazione del segreto, dunque in un interesse relativo alla libertà individuale e, più genericamente, alla persona.

2 Cocco, La tutela penale delle creazioni intellettuali, in Di Amato (diretto da), Trattato di diritto penale dell'impresa, IV, Il diritto penale industriale, Padova, 1993, 260; Leineri, In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, in Foro It., 2002, II, 115.

3 Cass., Sez. V, 7 giugno 2005, n. 25174.

4 Svariati, Il delitto di rivelazione di segreti industriali e la tutela del know how aziendale in una recente ed interessante sentenza della Cassazione, in Cass. Pen., 2002, 1004.

5 Folla, Sulla tutela penale del "know how" aziendale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002, 1097; Casaburi, In tema di tutela del know how, in Foro It., 2006, 104.

6 Sulla disciplina dei segreti commerciali (già informazioni segrete): cenni alla evoluzione dell'istituto, si veda G. Sena, in Rivista di Diritto Industriale, fasc.4-5-6, 1 AGOSTO 2022, pag. 135.

7 Come è noto, il d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63 - emanato in attuazione della direttiva (UE) n. 2016/943 dell'8 giugno 2016 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti - ha, tra l'altro, uniformato la terminologia utilizzata nelle norme di cui agli artt. 98 c.p.i. e 623 c.p., sostituendo l'espressione "informazioni aziendali segrete" di cui all'art. 98 c.p.i. e la formula "applicazioni industriali" di cui all'art. 623 c.p. con la dicitura "segreti commerciali". Con la pronuncia in rassegna la Suprema Corte ha anzitutto escluso che anche dopo l'intervento legislativo del 2018 "il concetto penalistico di segreto soffra interferenze a opera di quello ricavabile dall'art. 98 c.p.i." (in tal senso si era già espressa Cass. pen. 20 settembre 2018, n. 48895, in Riv. dir. ind., 2019, 4-05, II, 437), potendosi riscontrare "solo una mera identità terminologica nel riferimento ai ‘segreti commerciali, non sufficiente per giustificare una assimilazione anche della disciplina in due settori diversi e indipendenti dell'ordinamento". La Corte ha poi precisato che "risulta accolta, dall'art. 623 c.p., una nozione di segreto commerciale più ampia di quella descritta dall'art. 98 c.p.i.": con la conseguenza che, in presenza di un know-how avente i requisiti di protezione previsti dall'art. 98 c.p.i., potrà accordarsi la tutela prevista dall'art. 623 c.p., trattandosi di notizie segrete ed essendovi un interesse giuridicamente tutelato (individuabile nella ricorrenza dei requisiti di protezione richiesti dalla norma civilistica) al mantenimento del segreto; l'eventuale assenza dei requisiti previsti dall'art. 98 c.p.i. non esclude invece che l'informazione sottratta sia protetta penalmente laddove, come nel caso deciso dalla sentenza che si annota, sia stato individuato un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto.

8 A conferma del principio secondo cui il reverse engineering è lecito se non comporti difficoltà particolari per un esperto del settore, cfr. CRESPI, in VANZETTI, 1105; più di recente, per un commento agli artt. 98 e 99 c.p.i. a seguito dell'attuazione della Direttiva trade secrets, cfr. OTTOLIA, Il d.lgs. n. 63/18 di attuazione della dir. 2016/943/UE sulla protezione dei segreti commerciali fra tutela e bilanciamenti, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 5, 1091

9 così Tribunale Sez. spec. Impresa - Torino, 03/11/2020.

10 Le misure che il detentore dei segreti commerciali deve porre in esser al fine di usufruire della tutela offerta dagli artt. 98 e ss. codice proprietà industriale devono investire non solo il momento relativo al materiale utilizzo dell'invenzione, ossia alla realizzazione del prodotto o all'impiego del procedimento, ma anche quello relativo alla custodia delle relative informazioni - generalmente, documentali -, poiché con essa si esprime in modo puntale l'attività conoscitiva o inventiva e si permette l'utilizzazione della stessa per le finalità aziendali per un numero indefinito di volte; pertanto, la sottrazione del trovato e/o dei macchinari interessati dal procedimento ideato alla osservazione di terzi non esaurisce il novero delle misure che il titolare dell'informazione deve porre in essere al fine di mantenere tale informazione segreta, essendo, altresì, necessario che le stesse investano anche la conoscibilità degli elementi che caratterizzano l'invenzione e ne rendano possibile il ripetuto utilizzo, in tal senso, Cassazione civile sez. I, 12/01/2023, n.698.

11 Sez. 5, n. 16975 del 11/02/2020, Tinti, Rv. 279342 -01.

12 Allorquando si discorra della sottrazione di informazioni riservate, la giurisprudenza è solita considerare legittima la condotta del soggetto che abbia ottenuto le informazioni attraverso attività reverse engineering a condizione che tali attività siano "facili" per gli esperti del settore e che non ricorrano ulteriori profili di slealtà della condotta considerata. Per alcuni precedenti in termini v. Trib. Bologna, 24 aprile 2017 (6531/2); Trib. Bolzano, 13 luglio 2017 (6554/5); Trib. Bologna, 5 gennaio 2015 (6262/3-4-5), Trib. Milano, 27 novembre 2012 (5910/2), App. Torino, 28 gennaio 2010 (5525/1) alle cui note si rinvia per approfondimenti.

13 ex ceteris, Sez. 5, n. 25008 del 18/05/2001, PG e PC in proc. Pipino M. ed altri, Rv. 219471 – 01, cosi anche Tribunale Udine, 29/09/2021, n.1663.

14 Per alcuni precedenti in termini v. Trib. Bologna, 24 aprile 2017 (6531/2); Trib. Bolzano, 13 luglio 2017 (6554/5); Trib. Bologna, 5 gennaio 2015 (6262/3-4-5), Trib. Milano, 27 novembre 2012 (5910/2), App. Torino, 28 gennaio 2010 (5525/1).

15 Cassazione penale sez. V, 11/02/2020, n.16975.

16 Cassazione penale sez. V, 20/09/2018, n.48895.

17 Conformi, alcuni precedenti giurisprudenziali di merito, Trib. Verona 23.07.98 e Trib. Cagliari 21.12.94

18 Tale tesi è consolidata in giurisprudenza, tra le ultime pronunce sono degne di menzione la 13424/08 e 13658/04.


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