Penale

La chimera della giustizia riparativa

Le potenzialità ancora inespresse del nuovo strumento processuale introdotto dalla Riforma Cartabia

La giustizia, di sua indole, dovrebbe già incarnare lo spirito riparatorio per un danno patito dal titolare di una lecita situazione giuridica, meritevole di tutela nel nostro ordinamento.

Ebbene, con la nota riforma della giustizia entrata in vigore al primo giorno del 2023, si è voluto acutizzare il ruolo risanante che l’iter processuale deve perseguire, mettendo sempre più in relazione il “colpevole” con la “vittima”.

Ad una visione non approfondita, questo tentativo di conciliare i due soggetti opposti della fattispecie giuridica lesa sembrerebbe quasi una forzatura, un tentativo goffo di addivenire ad una remissione quantomeno formale di quanto avvenuto a seguito del comportamento illecito del colpevole.

Invece la giustizia riparativa, così come intesa dalla recente riforma, ha un potenziale sterminato, sebbene ad oggi inespresso a causa dei prevedibili e usuali ritardi in tema di amministrazione giudiziaria.

Soggetto attivo di questa nuova pratica processuale è la persona offesa dal reato, figura che fino ad ora ha ricoperto un ruolo del tutto marginale in ogni procedimento penale; nell’ottica rinnovata, invece, la persona offesa può attivarsi alla ricerca di soluzioni concrete per il “conflitto” creato a seguito della commissione del reato che ha spezzato anche il patto sociale tacitamente in vigore tra la collettività.

Dunque, una giustizia nuova ed inclusiva con l’intento di cambiare, in prima battuta, la risposta al crimine commesso, al vulnus creato nell’ordinamento giuridico.

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In un’ottica programmatica e focalizzata al reale ambito applicativo, è giusto porre l’attenzione sugli “strumenti” principali che pone in campo la giustizia riparativa che, secondo uno schema per così dire gradualistico, possono riassumersi in tre distinti filoni: componenti riparative, pienamente riparative ed infine componenti mediatori e riconciliativi.

Si delinea un profilo in cui la “mediazione autore – vittima” si staglia quale strumento principale, quasi un simbolico vessillo di questo nuovo istituto.

Tale mediazione deve iniziare, quasi obbligatoriamente, con le scuse formali del reo alla vittima del reato, scuse racchiuse spesso in una lettera contenente un’assunzione di responsabilità per le condotte ascritte allo stesso.

Seguono poi incontri personali tra vittima e autore del reato, che può essere fisicamente coincidente con chi ha commesso il reato nel caso di specie, oppure autori di reati analoghi a quelli subiti dalla vittima: l’ottica è quella di creare una sorta di forum nel quale la vittima, o un gruppo di vittime, esprime al capannello di autori del reato le conseguenze, le emozioni, gli strascichi di quanto subito, nell’intenzione di far capire a pieno, avendo vissuto in prima persona le vicende, il disvalore e le conseguenze dei comportamenti illeciti perpetrati dagli autori. 

I greci definirebbero questa pratica “compassionevole”; l’etimologia vuole proprio figurare l’idea di un sentimento – quello delle vittime – da “patire” assieme ad altri, gli autori del reato appunto.

La mediazione vera e propria interviene in un successivo momento, nel quale si interfacciano le due opposte parti coadiuvate da un mediatore/facilitatore; tale mediazione può essere estesa anche a gruppi parentali appartenenti sia alle vittime che agli autori.

Il mediatore è una figura terza, imparziale e preparata al riconoscimento delle emozioni scaturite dal conflitto, canalizzandole al raggiungimento di una possibile riparazione concreta.

Il mediatore, ontologicamente, differisce dalla figura del giudice – anch’essa terza ed imparziale – per la sua “equiprossimità”, vale a dire una posizione di vicinanza ad entrambe le parti aderenti al confronto, con più l’idea di favorire una conciliazione, piuttosto che decretarne la “vittoria” o la “soccombenza” di una di esse.

Si specifica che la mediazione, non essendo uno strumento obbligatorio, si basa sui seguenti principi: la volontarietà, la confidenzialità e il non giudizio.

La prima caratteristica è presto detta: sono le parti a scegliere se e quando entrare in una mediazione conciliativa.

La confidenzialità, invece, si traduce in un obbligo di riservatezza di tutte le questioni emerse durante la mediazione, questioni che il mediatore/facilitatore non può, per alcun motivo, portare all’esterno.

Infine, il principio del “non giudizio” è incentrato sul ruolo del mediatore, equidistante dalle parti, mai giudicativo, bensì propositivo e recettivo alle esigenze delle parti.

Grazie a quest’ultima peculiarità, i mediatori facilitano il raggiungimento di un risultato soddisfacente sia per la vittima, sia per l’autore del reato.

Solitamente i mediatori sono tre, due dei quali – possibilmente – non devono aver incontrato nessuna delle parti nei colloqui preliminari, in modo da essere scevri da ogni pregiudizio.

Le parti, confrontandosi, dovrebbero riuscire ad arrivare ad un riconoscimento reciproco della dignità altrui, dei motivi che hanno portato a delinquere, delle sofferenze conseguenti della vittima.

Questo obbiettivo di immedesimazione a posizioni invertite non si deve concludere necessariamente con una riappacificazione di comodo, bensì ad una riparazione simbolica o materiale.

A differenza del concetto di riparazione che si ha nella giustizia retributiva, nella quale la riparazione coincide con la mera sanzione, con il risarcimento del danno, con i lavori socialmente utili, o ad esempio con le restituzioni, il precipuo obiettivo riparativo introdotto dalla recente riforma è quello di arrivare ad un punto comune, concordato da entrambe le parti che partecipano in maniera attiva nella ricerca di una soluzione pattizia.

Fino ad oggi i casi di giustizia riparativa sono isolati; i pochi casi sono poco documentati e tra questo esiguo numero sono ancora più confinati a ruolo di chimere i casi in cui ci sia un confronto diretto tra autore del reato e la sua reale vittima.

Più numerosi sono i casi di mediazione con vittima c.d. “aspecifica” in cui la fattispecie del reato rimane la stessa, però il reo si confronta non con la vittima diretta, ma con la vittima di un reato diverso, ma qualitativamente paragonabile a quello commesso.

In alcune ipotesi, i mediatori hanno affiancato agli autori di alcune specifiche ipotesi delittuose (ad esempio: atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p. e violenze sessuali di vario genere) figure professionali quali psichiatri e psicologi dell’Ospedale Niguarda di Milano; l’intento è stato quello di dare all’incontro strumenti efficaci e qualificati.

Il risultato è stato non banale, perché in un ambito non inquisitorio, gli autori del reato hanno avuto possibilità di aprirsi anche sentimentalmente, percependo il disvalore delle loro condotte al racconto delle vittime.

Da ultimo, occorre citare l’unico precedente, ad oggi, di concessione di giustizia riparativa a seguito di un efferato omicidio.

Stiamo parlando del femminicidio di Carol Maltesi cui ha fatto seguito la decisione dei Giudici di Corte d’Assise di concedere l’accesso alla giustizia riparativa al suo assassino.

Non difficilmente pronosticabili sono state le accese polemiche, dettato sia dal dissenso dei familiari della vittima, ma soprattutto per la discrepanza tra tanta efferatezza e un desiderio riparatorio che sembra inconciliabile con il principio conciliatorio.

L’opinione pubblica si è schierata contro la decisione della Corte d’Assise di Busto Arsizio, temendo che la vicenda possa dare il fianco ad un precedente rilevante a cui i successivi autori potrebbero richiamarsi.

Indubbio è che non sia semplice far coincidere la morale, il senso di giustizia e le nobili finalità della giustizia riparativa.

Per ora la realtà offre una fotografia chiara dalla quale emerge come la giustizia riparativa, così come intesa dalla riforma, sia solo una lodevole illusione, un’utopia seguita da eccezioni che confermano la regola generale delle parti che sono, spesso, inconciliabili per definizione.

>> Leggi anche:

Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, Castronuovo Donato, Donini Massimo, Mancuso Enrico Maria, Varraso Gianluca, CEDAM, 2023.
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