Penale

Medico condannato e reato prescritto: il giudice dell'impugnazione decide per gli interessi civili

La posizione di garanzia del capo dell'equipe chirurgica non è limitata all'ambito strettamente operatorio ma si estende al contesto post-operatorio (Cassazione n. 13375/2024)

Ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il Giudice dell’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, nel caso in cui in primo grado sia intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sulla impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (Cassazione penale, sentenza n. 13375/2024 - testo in calce).

Il medico, nella veste di capo dell'equipe chirurgica, è gravato da posizione di garanzia che si estende anche al decorso postoperatorio, dato che il momento immediatamente successivo all'atto chirurgico non è avulso dall' intervento operatorio. All’ostetrica, quale figura professionale altamente specializzata spetta, anche in via autonoma, di procedere al monitoraggio dei parametri vitali della puerpera ed eventualmente avvisare il medico in caso di necessità che ella da sola non può fronteggiare.

Sommario

La responsabilità in medicina, Todeschini Nicola, UTET GIURIDICA. Dalla discussione del caso pratico alla regola. Una guida operativa completa alla riforma Gelli Bianco; la colpa civile e penale, il consenso informato, i procedimenti e i profili assicurativi.
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Il fatto

La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado, pronunciata nei riguardi di due soggetti ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo ai danni di una donna. In particolare, la vittima era deceduta nel gennaio del 2012 all’'ospedale Ruggì di Salerno, dopo alcuni giorni di agonia, che avevano seguito un intervento riparativo nel tentativo di salvarle la vita. Ella, trovandosi al nono mese di gravidanza, doveva sottoporsi al programmato intervento di taglio cesareo per dare alla luce il quinto figlio.

L’intervento sembrava essere andato bene, tuttavia, dopo poche ore, la donna cominciò a sentirsi male e, nonostante fosse stata soccorsa e sottoposta ad un intervento d’urgenza per atonia uterina post cesareo, ebbe un arresto cardiocircolatorio. Ripreso il ritmo cardiaco, venne trasportata al reparto di rianimazione dell'ospedale principale di Salerno ove decedeva in data 23/01/2012.

All'esito dei giudizi di merito e delle consulenze espletate in primo grado, non è emerso alcun dubbio sulla causa della morte, che era stata ricondotta inequivocabilmente alla negativa evoluzione di una emorragia post partum da atonia uterina e veniva contestato ai sanitari di non avere accuratamente monitorato le condizioni cliniche della donna nelle prime ore dopo il parto e, in particolare, di non aver verificato alcuni parametri (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, contrazione dell'utero, livelli di emoglobina nel sangue) che avrebbero consentito una precoce diagnosi di atonia uterina e dell'emorragia post partum in corso, impedendo così la progressione della patologia in maniera infausta.

Il ricorso

Avverso la sentenza di appello, veniva proposto ricorso in Cassazione da parte degli imputati, a mezzo dei loro rispettivi difensori.

Nei motivi di ricorso, gli imputati richiamavano vari principi in tema di responsabilità medica, quali:

  • il principio di affidamento, quale limite all'obbligo di diligenza, gravante su ogni titolare della posizione di garanzia, in modo tale che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidati, confidando nella professionalità degli altri, della cui condotta colposa non si può essere chiamati a rispondere;
  • la giurisprudenza in tema di equipe medica sull’'accertamento del nesso causale, che va compiuto relativamente alla condotta e al ruolo di ciascuno, non potendosi aprioristicamente configurare una responsabilità di gruppo, specie quando ruoli e compiti degli operatori siano nettamente distinti tra loro.
  • Il tema del giudizio controfattuale che doveva rispondere all' interrogativo di fondo, ossia se la puerpera si sarebbe salvata qualora fossero stati effettuati i controlli.

La decisione della Corte

La Suprema Corte, in via preliminare, rilevava l’intervenuta prescrizione del reato.

Tuttavia, si evidenziava che i ricorsi dovevano essere esaminati ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., agli effetti degli interessi civili.

Ciò premesso, la Suprema Corte partendo dalla circostanza che la persona offesa era una paziente ad elevato rischio di complicanze, doveva essere oggetto di attento monitoraggio da parte del personale sanitario. Infatti, l’attività di controllo principalmente aveva il fine di rilevare, con tempestività, proprio i sintomi dell'emorragia post partum, causa principale di morte correlata alla gravidanza. Purtroppo, è comprovato che il ritardo nell' intervenire, in caso di atonia uterina, porta, con estrema frequenza, al decesso della puerpera. Nel caso in questione, essendo la donna al quinto parto cesareo, si trovava in maggior misura esposta al rischio di atonia uterina e alla conseguente emorragia.

Orbene, i Giudici del merito hanno affermato che, alla luce degli elementi fattuali, l'obbligo di garanzia, faceva capo ad entrambi gli imputati. La Corte evidenzia come l’obbligo di garanzia, in questo caso, fosse rappresentato da un dovere di diligenza più pregnante per il monitoraggio del post partum, dato che il taglio cesareo fu eseguito, per necessità, in una zona più alta dell'utero che, in quanto maggiormente vascolarizzata, comporta una maggiore perdita ematica nell' immediato e di complicazione a lungo termine, nonché di un precedente episodio di tale patologia nel corso del primo parto.

La Corte ha individuato la responsabilità del chirurgo, medico di fiducia della donna, nella mancata consegna di istruzioni su un monitoraggio costante e scrupoloso che, se effettuato, avrebbe evitato l'esito infausto. Ciò in quanto il medico, nella veste di capo dell'equipe chirurgica, è gravato da posizione di garanzia che si estende anche al decorso postoperatorio.

Al riguardo la Suprema Corte richiama la sua stessa giurisprudenza secondo cui la posizione di garanzia del capo dell'equipe chirurgica non è limitata all'ambito strettamente operatorio; ma si estende al contesto postoperatorio, dato che il momento immediatamente successivo all'atto chirurgico non è avulso dall' intervento operatorio.

Nel caso in questione, secondo la Corte, la mancata adozione di siffatta cautela, ha rivestito un ruolo decisivo nello sviluppo degli accadimenti, impedendo l'esecuzione tempestiva delle procedure occorrenti per fronteggiare la sopraggiunta emorragia.

Con riferimento all’altra imputata, che rivestiva la qualifica di ostetrica, la Corte ha ribadito che tale figura professionale altamente specializzata ha un ruolo molto importante nell'organigramma dei sanitari del settore ginecologico, a cui spetta, anche in via autonoma, di procedere al monitoraggio dei parametri vitali della puerpera ed eventualmente avvisare il medico in caso di necessità che ella da sola non avrebbe potuto fronteggiare.

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