Amministrativo

Scioglimento del Comune: assessore incandidabile anche se le indagini penali sono archiviate

Non è necessario che sia integrata la fattispecie di reato, basta un quadro indiziario di condotte che plausibilmente siano il frutto di condizionamento mafioso

Un Consiglio comunale viene sciolto per infiltrazioni della criminalità e il sindaco e numerosi consiglieri comunali sono dichiarati incandidabili. Gli amministratori propongono reclamo avverso la decisione del Tribunale ma viene accolto solo quello proposto da un assessore. Quest’ultimo, infatti, deduce che le indagini penali a suo carico siano state archiviate e, quindi, che la declaratoria di incandidabilità difetti dei presupposti richiesti dalla legge.

L’archiviazione del procedimento penale assume rilievo ai fini della misura interdittiva?

La Corte di Cassazione, Sezione I, con l’ordinanza 12 aprile 2024, n. 9928 (testo in calce), risponde negativamente. Innanzitutto, gli ermellini ricordano che la legge prevede l’incandidabilità per gli amministratori che, con il loro comportamento, abbiano contribuito allo scioglimento dell’organo consiliare a causa di infiltrazioni criminali all’interno dell’istituzione locale (art. 143 c. 11 TUEL). Inoltre, la misura interdittiva non costituisce una conseguenza automatica dello scioglimento dell’organo consiliare, ma riveste un carattere autonomo. Ciò premesso, la misura dell’incandidabilità non postula che la condotta dell’amministratore integri il reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa. È sufficiente che il soggetto abbia agito colposamente nella gestione della cosa pubblica lasciando che avvenissero ingerenze criminali. Pertanto, l’intervenuta archiviazione non esclude la configurabilità di condotte che, seppur scevre di rilevanza penale, mostrino la presenza di condizionamenti da parte di terzi, idonei a compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa. La decisione è interessante anche perché sottolinea come gli esposti anonimi – da cui era partita l’indagine in commento – ai fini del procedimento ex art. 143 TUEL assumano rilievo sotto il profilo indiziario, non trovando applicazione le disposizioni del codice di procedura penale che ne escludono l’utilizzabilità come mezzi di prova (artt. 240 e 333 c.p.p.).

Sommario

Giornale di Diritto Amministrativo, Direzione scientifica: Cassese Sabino, Ed. IPSOA, Periodico. Tratta tutta la complessa materia con autorevoli commenti a norme, giurisprudenza e documenti che offrono una panoramica completa delle novità nell'ambito del diritto pubblico sia a livello nazionale che comunitario.
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La vicenda

Dopo lo scioglimento del Consiglio comunale, il Tribunale su proposta del Ministero dell’Interno e della Prefettura dichiara incandidabile il sindaco e alcuni consiglieri comunali alle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato e per il Parlamento europeo, nonché per le successive elezioni comunali, provinciali e regionali. Invece, viene rigettata l’analoga domanda proposta nei confronti di altri due consiglieri.

In sede di gravame, viene accolto il reclamo promosso da una donna che ricopriva la carica di assessore poiché, secondo i giudici di merito, erano state archiviati i procedimenti penali che la coinvolgevano e le accuse nei suoi confronti erano basate su esposti anonimi. Gli altri reclami, proposti dagli amministratori dichiarati incandidabili, sono rigettati, in quanto dalle vicende giudiziarie in cui erano coinvolti per gravi episodi di corruzione era emersa la permeabilità dell’attività amministrativa al condizionamento mafioso. Si erano accertate numerose irregolarità nell’affidamento dei servizi semaforici, dei servizi cimiteriali, dei bagni pubblici, nella gestione del verde e così via. I mentovati servizi erano stati affidati a società collegate alla criminalità locale. Inoltre, era emersa anche la cattiva gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, stante la mancanza di controlli sulle autocertificazioni dei richiedenti.

Il quadro generale mostrava un’immagine malata dell’Amministrazione comunale, in cui spiccava la responsabilità del primo cittadino, che non aveva adempiuto al proprio obbligo di vigilanza e controllo e aveva consegnato ampi e rilevanti settori dell’amministrazione nelle mani della criminalità.

Si giunge così in Cassazione.

Premessa: scioglimento del Consiglio e dichiarazione di incandidabilità

Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente la disciplina normativa contenuta nel Testo Unico sugli Enti Locali. L’art. 143 TUEL rubricato “scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti” al comma 11 dispone quanto segue:

  • “Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. […] (art. 143 c. 11 d. lgs. 267/2000)

Per giungere alla declaratoria di incandidabilità, è necessario che il Ministro dell’Interno formuli la proposta di scioglimento del consiglio comunale o provinciale al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza dei presupposti necessari.

La misura della incandidabilità si sostanzia nel privare temporaneamente il soggetto della possibilità di candidarsi alle elezioni che si svolgono nel territorio in cui con la sua condotta ha dato causa allo scioglimento del consiglio comunale a causa di infiltrazioni criminali all’interno dell’istituzione locale. La misura interdittiva dell’incandidabilità non è in contrasto con la Costituzione in considerazione della sua temporaneità (due turni elettorali). Si tratta di una extrema ratio volta ad evitare il reiterarsi di episodi simili e a tutelare beni primari come la trasparenza e il buon andamento delle amministrazioni comunali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati. In tal modo, si cerca di corroborare la "credibilità" delle amministrazioni locali presso la collettività ed alimentare il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni.

L’archiviazione delle indagini penali non esclude i presupposti per l’incandidabilità

Il Ministero dell’Interno impugna la decisione gravata nella parte in cui ha accolto il reclamo dell’assessore. In particolare, censura il decreto gravato per aver escluso la sussistenza di elementi circa il collegamento della donna con la criminalità organizzata di tipo mafioso. Infatti, la dichiarazione d' incandidabilità non postula gli stessi elementi richiesti per integrare la fattispecie di reato, ma è sufficiente un quadro indiziario di condotte che plausibilmente siano il frutto di un condizionamento mafioso.

La Suprema Corte considera fondata la doglianza, infatti, la giurisprudenza è costante nell’affermare che, ai fini della declaratoria di incandidabilità, la condotta dell’amministratore non deve necessariamente integrare gli estremi di reato di partecipazione ad associazione mafiosa o di concorso esterno alla stessa. Al contrario, è sufficiente che l’amministratore:

  • sotto il profilo soggettivo, non sia riuscito a contrastare con efficacia le ingerenze delle organizzazioni criminali operanti nel territorio,
  • e sotto il profilo oggettivo, abbia serbato una condotta inefficiente tale da riflettersi nella cattiva gestione della cosa pubblica (Cass. SS. UU. 1747/2015; Cass. 8056/2022; Cass. 19407/2017).

I giudici di merito hanno escluso i presupposti di cui sopra con riferimento all’assessore basandosi sull’archiviazione del procedimento penale a suo carico e per la circostanza che gli elementi contro di lei emergevano da due esposti anonimi. Secondo le accuse, ella avrebbe liquidato contributi sociali a favore di un soggetto pregiudicato per vari reati e avrebbe consegnato denaro ad altri beneficiari del sussidio, accompagnando tale dazione con quella di materiale elettorale. Il decreto gravato ha ritenuto non provati i collegamenti con la criminalità.

Gli ermellini ritengono non condivisibile tale valutazione poiché le varie condotte della donna sono state analizzate atomisticamente senza considerare il quadro d’insieme. Invece, la giurisprudenza è costante nell’affermare che la valutazione delle condotte rilevanti ai fini della dichiarazione di incandidabilità vada effettuata in modo complessivo e non isolando ciascun comportamento. In tal modo, si mettono in luce le connessioni tra le varie condotte «dalla cui trama ben può emergere la sussistenza dei presupposti prescritti dall'art. 143 cit.» (Cass. 25380/2023). In particolare, gli ermellini sottolineano come l'intervenuta archiviazione delle indagini penali, a cui la decisione gravata ha attribuito rilievo, in verità non escluda la configurabilità di condotte che, seppur scevre di rilevanza penale, mostrino la presenza di condizionamenti da parte di terzi, idonei a compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa.

Esposti anonimi valgono come elementi indiziari

A tal proposito, l’erogazione dei sussidi da parte dell’assessore denota un uso personalistico del suo ufficio e il rapporto confidenziale con un noto esponente della criminalità mostra le pressioni esercitate nella gestione pubblica. La circostanza che tali condotte siano emerse da esposti anonimi non le priva di rilievo, come ritenuto dai giudici di merito. Infatti, la natura anonima degli esposti non esclude che il loro contenuto possa valere come elemento indiziario.

In materia di incandidabilità, non si applicano le norme del codice di procedura penale, secondo cui delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso (art. 333 c. 3 c.p.p.) e i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato (art. 240 c. 1 c.p.p.).

Le citate disposizioni si applicano solo nel procedimento penale, in cui l'utilizzabilità dei documenti anonimi è preclusa solo come mezzi di prova, e non anche come elementi conoscitivi idonei a provocare l'avvio delle indagini (Cass. 1348/2019; Cass. 28974/2017).

La dichiarazione di incandidabilità non è conseguenza automatica dello scioglimento dell’amministrazione

Il sindaco, nel proprio il ricorso, lamenta la nullità dell'atto introduttivo del giudizio, dal momento che era stato notificato soltanto ad alcuni degli amministratori indicati nella relazione prefettizia.

Gli ermellini escludono che sia configurabile una violazione del contraddittorio, atteso che la citata relazione non ha efficacia vincolante ai fini dell’individuazione dei soggetti da coinvolgere nel procedimento. Inoltre, il giudizio che ha ad oggetto la dichiarazione di incandidabilità riguarda unicamente gli amministratori che con la propria condotta abbiano contribuito allo scioglimento dell’organo consiliare. Pertanto, l’indicazione di un nominativo nella relazione del Prefetto non ne impone la vocatio in ius.

Inoltre, la giurisprudenza è costante nell’affermare che la dichiarazione di incandidabilità non sia conseguenza automatica dello scioglimento dell’amministrazione ma abbia natura autonoma. Essa, infatti, si fonda su presupposti diversi come l’accertamento della colpa degli amministratori per la cattiva gestione della cosa pubblica che ha consentito l’intromissione della criminalità (Cass. SS. UU. 1747/2015; Cass. 8030/2020; Cass. 19407/2017). Pertanto, se dalla relazione prefettizia – frutto degli accertamenti compiuti dalla Commissione d' indagine (ex art. 143 c. 2 TUEL) – emergono indizi di collegamenti con la criminalità organizzata oppure altre forme di condizionamento ma solo a carico di alcuni amministratori, il procedimento relativo all’incandidabilità (ex art. 143 c. 11 TUEL) viene promosso soltanto nei confronti di questi ultimi, «senza che sia necessaria, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, l'evocazione in giudizio degli altri, i quali risultano estranei alla controversia, in considerazione della natura personale della responsabilità che giustifica la dichiarazione d' incandidabilità, e della conseguente autonomia della posizione processuale di ciascun amministratore».

Ai fini dell’incandidabilità basta una condotta omissiva

Il sindaco sostiene l’insussistenza di elementi idonei a provare collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata e contesta anche l’omessa vigilanza sulla gestione dei servizi pubblici atteso che tale controllo spettava ai dirigenti.

La Corte considera infondate le censure, infatti, ai fini della dichiarazione d'incandidabilità, non è necessaria una condotta commissiva, essendo sufficiente anche la mera omissione, a patto che essa sia la causa o la concausa dello scioglimento dell'organo consiliare. Ciò si verifica allorché l'amministratore «abbia omesso di assumere, anche solo per colpa, le determinazioni utili per rimediare ad ingerenze esterne e a pressioni inquinanti derivanti da associazioni criminali» (Cass. 3024/2019; Cass. 3857/2021). Nel caso di specie, il sindaco è venuto meno agli obblighi previsti dalla legge (art. 50 c. 2 e 54 c. 1 lett. c) TUEL) quali l’obbligo di vigilanza, indirizzo e controllo. Tale inadempimento è sufficiente ad integrare i presupposti per la declaratoria di incandidabilità (ex art. 143 c. 11 TUEL). Infatti, lo scopo della disposizione consiste proprio nell'evitare il rischio che chi abbia reso possibili intromissioni criminali nella gestione pubblica possa poi aspirare a ricoprire le stesse cariche o simili a quelle già rivestite, perpetrando così l’ingerenza criminosa nella gestione amministrativa (Cass. 2749/2021). La violazione dei doveri di vigilanza gravanti sul sindaco è idonea a provocare sia una situazione di cattiva gestione dell'amministrazione comunale sia ad agevolare le possibili ingerenze al suo interno delle associazioni criminali, «finendo per creare le condizioni per un asservimento dell'amministrazione municipale agli interessi malavitosi» (Cass. 31550/2023).

Il fatto che la gestione degli appalti pubblici spetti ai dirigenti non esclude la responsabilità del sindaco. Infatti, il primo cittadino non è titolare unicamente della funzione di indirizzo politico-amministrativo, ma tra le sue attribuzioni rientra anche il sovraintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici, con potere di nomina dei responsabili e definizione dei vari incarichi. In altre parole, il sindaco interviene sull’attività dell’apparato burocratico e ne affida la direzione a persone di fiducia, che deve sostituire nel caso in cui siano responsabili di irregolarità o si sottraggano all’adempimento dei loro doveri (art. 50 TUEL). Nel caso in esame, il sindaco è stato ritenuto responsabile per le irregolarità nella gestione dei servizi pubblici e nel ritardo nell’acquisizione della informativa antimafia che aveva reso possibile l’assegnazione dei contratti a società collegate alla criminalità locale, così compromettendo il buon andamento dell’amministrazione comunale.

Conclusioni: accolto il ricorso del Ministero

Il ricorso del Ministero viene accolto e relativamente ad esso la decisione viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Invece, il ricorso del sindaco è rigettato per le ragioni sopra esposte; inoltre, alcune censure non vertono sulla motivazione di merito ma sono dirette a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità ove, invece, oggetto dell’esame è la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte unitamente alla coerenza logica delle stesse.

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