Amministrativo

Casetta di legno usata come autorimessa: opera precaria di edilizia libera o serve il titolo edilizio?

Un'opera anche se non stabilmente infissa al suolo ma realizzata per soddisfare esigenze permanenti non può beneficiare del regime delle opere precarie e necessita di un titolo edilizio

Una donna posiziona una casetta di legno di circa 38 mq nel proprio terreno e la adibisce ad autorimessa. Il comune le notifica un’ordinanza di demolizione e il bene viene sottoposto a sequestro penale.

Una casetta di legno “poggiata” sul terreno, senza fondamenta, necessita del titolo edilizio o rientra nell’edilizia libera?

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza 19 gennaio 2024, n. 638 (testo in calce), ricorda che per stabilire se un manufatto necessiti del permesso di costruire occorre utilizzare il criterio funzionale e non quello strutturale. In buona sostanza, per individuare la natura precaria di un'opera, non assume rilievo che la stessa non sia stabilmente infissa al suolo (criterio strutturale), ma se sia realizzata per soddisfare esigenze non temporanee (criterio funzionale). In tale ultimo caso, infatti, il manufatto non può beneficiare del regime delle opere precarie e necessita di un titolo edilizio.

La decisione è interessante sotto molteplici profili.

Innanzitutto, affronta la problematica degli effetti del sequestro penale sul procedimento amministrativo. Secondo la ricorrente, l’intervenuto sequestro della casetta renderebbe nullo l’ordine di demolizione, perché sarebbe impossibile adempiervi senza ottenere il dissequestro. I giudici di Palazzo Spada, dopo aver ricordato l’esistenza di vari orientamenti in materia, aderiscono al più recente, secondo cui il sequestro non influenza la legittimità dell’ordine di demolizione ma incide unicamente sulla decorrenza del termine per darvi attuazione (che decorre solo dall’intervenuto dissequestro).

Infine, la sentenza affronta la questione della legitimatio ad causam dell’erede della ricorrente. Nel caso di specie, l’uomo ha riassunto il processo allegando la dichiarazione di successione. I giudici amministrativi sottolineano come tale documento rivesta natura meramente fiscale e possa assumere un valore meramente indiziario, ma per dimostrare la qualità di erede sia necessario allegare la prova della dipartita della parte originaria e gli atti dello stato civile da cui emerga il legame di parentela ai fini della successione ab intestato.

Sommario

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La vicenda

Una donna, proprietaria di un’abitazione e di alcuni terreni agricoli, posiziona su uno di essi una casetta in legno della dimensione di 38 metri quadrati. Il Comune le notifica un ordine di demolizione poiché la costruzione è stata realizzata senza titolo edilizio. La donna propone ricorso dinnanzi al TAR, deducendo che la casetta funga da ricovero per un automezzo agricolo e sia diretta a soddisfare esigenze temporanee, infatti, è interamente realizzata in legno e non saldamente ancorata al terreno. Ella, inoltre, sostiene di non aver potuto ottemperare all’ordine di demolizione poiché il bene era stato sottoposto a sequestro penale. Secondo la decisione di primo grado, il manufatto non può considerarsi un’opera precaria rientrante nell’edilizia libera, giacché risulta fissata stabilmente al terreno e viene usata continuativamente come autorimessa. Inoltre, la circostanza del sequestro non assume rilievo, atteso che la ricorrente non si è attivata al fine di ottenere il dissequestro.

Si giunge così dinnanzi al Consiglio di Stato.

Decesso della ricorrente: la dichiarazione di successione non è idonea a provare la qualità di erede

Durante il procedimento, avviene il decesso della ricorrente e si costituisce in giudizio l’erede della defunta, riassumendo il processo interrotto. L’appellante deduce di essere l’erede semplicemente producendo la dichiarazione di successione e la copia della comparsa di costituzione, con relativa procura, depositata nel corso di un processo civile.

Secondo i giudici amministrativi, chi afferma di rivestire la qualità di erede del soggetto originariamente titolare del diritto ha l’onere di allegare la propria legittimazione (Cass. 13738/2005):

  • fornendo la prova del decesso della parte originaria,
  • dimostrando la propria qualità di erede.

ln caso contrario, mancherebbe la prova di uno degli elementi costitutivi del diritto di agire e contraddire. Pertanto, occorre la produzione degli atti dello stato civile. Infatti, è da tale documentazione che emerge il rapporto di parentela con il “de cuius” in virtù della quale ha luogo la successione legittima (ab intestato). Tutto ciò premesso, la dichiarazione di successione non è idonea a provare la delazione dell’eredità stante la sua natura di atto preordinato a fini fiscali. Essa, tuttavia, può assumere valore indiziario in presenza di un'attività che costituisca prova dell’accettazione implicita dell’eredità (Cass. 868/2017).

A tal proposito, giova ricordare che l’accettazione dell’eredità può essere espressa, quando con atto pubblico o scrittura privata il chiamato all'eredità dichiara di accettarla o assume il titolo di erede (art. 475 c.c.); oppure può essere tacita, allorché il chiamato all'eredità compia un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede (art. 476 c.c.). L'accettazione è implicita qualora il chiamato esperisca delle azioni giudiziarie. Tali azioni, però, non devono rientrare negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari (consentiti dall'art. 460 c.c.).

Secondo i giudici amministrativi, nel caso di specie, difetta la prova certa dell’acquisizione della qualità di erede, stante la mancanza degli elementi documentali richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.

In ogni caso, come vedremo, il Consiglio di Stato ritiene infondato l’appello della defunta.

La natura non precaria del manufatto: il criterio funzionale

La ricorrente deduce che il bene non sia ancorato al terreno tramite cordoli di fondazione o plinti e, quindi, sia di facile rimozione. Secondo le sue difese, il manufatto rientra tra le opere temporanee come indicate dalla legge regionale della Toscana1, infatti, la precarietà del manufatto non va dedotta in base alla sua destinazione – in questo caso, autorimessa – ma alla sua struttura.

La censura è infondata, infatti, il Testo Unico edilizio qualifica come nuova costruzione:

  • “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee […]” (art. 3 c. 1 lett. e.5) DPR 380/2001)

Invece, rientrano nell’edilizia libera:

  • “le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni” (art. 6 c. 2 lett. b) DPR 380/2001 applicabile ratione temporis – si segnala che l’intero comma 2 è stato abrogato dal d.lgs. 222/2016).

Per valutare se un’opera non necessita di titolo abitativo, in quanto precaria, è possibile ricorrere a due criteri:

  • per il criterio strutturale è precario ciò che non è stabilmente affisso al suolo,
  • per il criterio funzionale è precario ciò che è destinato a soddisfare esigenze temporanee.

La giurisprudenza è concorde nel ritenere che si debba seguire il criterio funzionale, infatti, un manufatto può anche non essere stabilmente ancorato al suolo, ma se le esigenze che deve soddisfare non sono temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie (Cons. St. 1776/2013).

Quando è necessario il titolo edilizio?

Alla luce di quanto sopra esposto, è necessario il titolo edilizio per le opere che, pur non infisse nel suolo e semplicemente aderenti a questo, «alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, […] ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato» (Cons. St. 1776/2013).

Pertanto, non rileva la destinazione soggettiva che il singolo intende attribuire al bene (ad esempio, ricovero attrezzi) ma la sua intrinseca destinazione materiale. Il mentovato art. 3 c. 1 lett. e.5) TUE richiede, ai fini della precarietà dell’opera, un uso limitato nel tempo, essa, quindi, non può essere diretta a soddisfare esigenze permanenti (Cons. St. 10847/2022).

Secondo i giudici amministrativi, l’opera oggetto dell’ordine di demolizione non può considerarsi precaria, in quanto destinata ad autorimessa e stabilmente presente sul terreno.

Sequestro penale del manufatto e incidenza sul procedimento amministrativo

La ricorrente censura la sentenza gravata per aver ritenuto irrilevante la circostanza che l’immobile fosse sottoposto a sequestro penale. Secondo la ricostruzione della donna, ciò comporterebbe la nullità dell’ordine di demolizione essendone impossibile l’esecuzione materiale.

I giudici di Palazzo Spada ricordano che vi sono vari orientamenti in ordine agli effetti prodotti dal sequestro sull’immobile abusivo.

Il primo orientamento, ormai recessivo, riteneva che il sequestro penale fosse ininfluente sul procedimento amministrativo, poiché l’autore dell’abuso aveva la possibilità di chiedere il dissequestro (Cons. St. 283/2016; Cons. St. 282/2012).
Tale indirizzo è stato stigmatizzato poiché costringerebbe il responsabile dell’abuso a presentare un’istanza di dissequestro non imposta dalla legge; inoltre, «pregiudicherebbe il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla difesa nel procedimento penale, che potrebbe avere seguito, del tutto legittimamente, una strategia incompatibile con l'istanza stessa» (Cons. St. 2337/2017). Secondo un diverso orientamento, l’ordine di demolizione adottato in costanza di sequestro è da considerarsi nullo per mancanza di un elemento essenziale dell'atto, in quanto l’oggetto sarebbe impossibile.

Infine, l’ultimo orientamento, seguito della decisione in commento, ritiene che debba trovarsi un punto di incontro fra l'interesse pubblico alla tutela del territorio e l’interesse privato alla difesa penale (Cons. St. 2122/2022; Cons. St. 6592/2019; Cons. St. 4418/2018). Il sequestro penale dell'immobile non incide sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione; infatti, diversamente opinando, la tutela del territorio finirebbe per dipendere da circostanze che fuoriuscirebbero dal dominio dell'amministrazione preposta (che, anzi, potrebbe esserne all'oscuro). In base a tale ricostruzione, il termine indicato nell'ordinanza per la demolizione o per la rimessione in pristino non decorre sino a che l'immobile rimanga sequestrato. In tal modo, avviene il citato contemperamento con le esigenze di difesa.

In conclusione, la sussistenza di un provvedimento di sequestro non incide sulla validità dell’ordinanza di demolizione ma determina solo il differimento del termine al momento in cui il bene risulta dissequestrato.

Conclusioni: respinto l’appello della proprietaria

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), respinge l’appello proposto dalla proprietaria del fondo su cui è posizionata la casetta di legno e condanna a rifondere al Comune le spese di lite del grado di giudizio, liquidate in tremila euro oltre accessori di legge; infine, ordina che la sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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[1] La ricorrente cita la legge regionale Toscana n. 1 del 03.01.2005, applicabile ratione temporis, art. 80 c. 2 che considerava come rientranti nell’edilizia libera i “manufatti precari, le serre temporanee e le serre con copertura stagionale previsti e disciplinati dal regolamento di attuazione dell'articolo 41, comma 8”.

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