Procedura civile

Correttivo Cartabia: le proposte di modifica degli avvocati

Suggerimenti per il rito semplificato, l’opposizione a decreto ingiuntivo, i malfunzionamenti del PCT e le notifiche

Durante l’audizione del 24 aprile alla Camera il Presidente del COA di Firenze avv. Sergio Paparo e dell’Unione Triveneta dei COA avv. Andrea Pasqualin chiedono modifiche allo schema del correttivo della Riforma Cartabia. Per il Presidente dell’Unione Camere Civili, avv. de Notaristefani la fase introduttiva del rito ordinario non è emendabile e va completamente cambiata.

Nella Riforma del processo civile, ci sono norme pregiudizievoli del diritto di difesa o norme che invece di creare effetti acceleratori determinano delle lungaggini? È questa la domanda rivolta agli Avvocati, dall’on. D’Orso durante l’ audizione alla Camera del 24 aprile scorso, sul testo del correttivo alla Riforma Cartabia.

Per i presidenti dei COA di Firenze e del Veneto, avv.ti Sergio Paparo e Andrea Pasqualin, la Riforma ha scommesso molto sul rito semplificato di cognizione, ma perché la scommessa abbia successo è necessario prevedere tempi certi.

Così come formulato, il rito semplificato non è “appetibile” per gli avvocati, perchè la durata del procedimento è totalmente rimessa nelle mani del Giudice.

Le proposte di modifica elaborate dai legali nel documento depositato alla Camera in occasione dell’audizione, calano nel rito semplificato di cognizione la trama delle facoltà delle difese previste nel rito ordinario, valorizzando la prima udienza di comparizione, sulla scorta del vecchio art. 183 comma 5 c.p.c., e concentrando le altre facoltà integrative nelle due memorie che si consumano in un tempo massimo di 30 giorni, assicurando un procedimento snello e non appesantito.

Altra proposta dei rappresentanti dei COA di Firenze e del Veneto riguarda l’art. 648 c.p.c. in tema di opposizione a decreto ingiuntivo.

Nel testo del correttivo, una nuova norma introduce un rimedio estremamente efficace, cioè la possibilità che il creditore opposto possa ottenere la decisione sulla sua istanza di concessione della provvisoria esecuzione prima della prima udienza.

Questo al fine di evitare che l’opposizione sia proposta in modo dilatorio, facendo slittare di sei mesi la discussione sulla provvisoria esecuzione.

Riguardo a questa norma gli avvocati propongono due migliorie:

1. estendere lo stesso meccanismo al 649 c.p.c.: consentendo che venga anticipata anche la trattazione della sospensione della provvisoria esecuzione. Nella prassi infatti le decisioni sulla concessione della sospensione spesso riescono a porre fine alle liti.

2. Consentire che nei casi di urgenza il provvedimento di concessione o di sospensione della provvisoria esecuzione possa avere la forma del decreto. Nella udienza di comparizione delle parti rimarrebbe ferma la possibilità di confermare o revocare il decreto emesso.

Altro tema particolarmente critico per i legali riguarda l’art. 196 quater disp.att.: in caso di malfunzionamento dei sistemi telematici, (fatto piuttosto frequente nella pratica), il deposito deve avvenire con certificazione del Ministero del malfunzionamento. Questa previsione, spiegano gli avvocati, è incompatibile con la celerità richiesta al processo.

I legali puntano anche l’attenzione sull’art. 149 bis c.p.c., che prevede che le notifiche a mezzo pec che non vanno a buon fine vadano depositate presso un’area del portale e si perfezionino entro 10 giorni. Secondo i Presidenti dei COA auditi, è indispensabile introdurre l’obbligo di comunicazione al destinatario che quella notifica è “parcheggiata” presso il portale, così come avviene per le comunicazioni postali, andrebbe introdotto anche per le notifiche del 149 bis.

Ma le criticità più importanti si appuntano nella fase introduttiva del giudizio: viola diritto di difesa, non è emendabile e “bisogna sopprimerla e tornare al sistema precedente o alla proposta A della commissione Luiso”, così l’avvocato Antonio de Notaristefani di Vastogirardi, presidente dell’Unione delle Camere civili. De Notaristefani ricorda in ogni caso che qualunque decisione sul correttivo in merito alla revisione della fase introduttiva dovrà attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, che si è riservata lo scorso 16 aprile, sulla questione sollevata dal Tribunale di Verona riguardo all’art. 171 bis c.p.c. e le limitazioni del contraddittorio.

Anche per de Notaristefani, il rito semplificato è del tutto evanescente, manca soprattutto la disciplina del termine per l’articolazione delle prove (un avvocato dovrebbe iniziare un processo senza sapere fino a quando può articolare le prove).

E poi l’udienza pubblica, che già era stata compressa nella Riforma Cartabia, viene ulteriormente ridotta nel correttivo, rimettendola al potere del giudice salva l’opposizione dell’avvocato. L’udienza pubblica, ricorda il presidente delle Camere Civili è un principio di civiltà, sancito dall’art. 6 della CEDU e dalla nostra Costituzione che vuole la Giustizia esercitata in nome del popolo.

Il correttivo poi, incrementa la possibilità di discussione orale della causa davanti a un giudice diverso da quello che decide (sospensiva in appello e procedimento semplificato). Anche questo, dicono gli avvocati civilisti, non è accettabile. Ulteriore profilo di critica riguarda il Giudizio di cassazione e la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili e infondati.

De Notaristefani osserva che si dovrebbero piuttosto decidere in via accelerata i ricorsi fondati perché sono quelli in cui il cittadino sta subendo una violazione cui va posto rimedio.

Infine ultima incongruenza rilevata dai civilisti riguarda il fatto che il giudice che formula la proposta di definizione della controversia, può non solo comporre il collegio ma addirittura essere giudice relatore del provvedimento.

Anche questo, puntualizza il Presidente delle Camere civili, è un problema di civiltà: nessun giudice può decidere su una proposta che ha fatto lui stesso.

E dato che le decisioni di Cassazione sono censurabili davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo si prospetta il pericolo che la Corte di Strasburgo sia chiamata non sull’errore di una singola sentenza ma su un meccanismo decisionale che riguarda ad oggi ben settemila decisioni.

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