Società, Banca e Impresa

Liquidazione volontaria della Srl: il residuo attivo spetta all’usufruttuario o al nudo proprietario?

La somma ricavata dalla liquidazione costituisce un utile per la parte eccedente il prezzo pagato per l'acquisto o sottoscrizione delle quote e spetta all'usufruttuario

In seguito alla liquidazione volontaria di una società a responsabilità limitata, uno dei soci agisce contro l’Agenzia delle Entrate al fine di ottenere un considerevole credito d’imposta. La questione è interessante perché il contribuente è il nudo proprietario della partecipazione sociale e, per stabilire se abbia (o meno) titolo per chiedere il rimborso, occorre chiarire quando cessi il diritto di usufrutto sulla quota e quali siano i diritti patrimoniali connessi alla partecipazione sociale spettanti all’usufruttuario.

La Corte di Cassazione, Sezione tributaria, con la sentenza 29 aprile 2024, n. 11357 (testo in calce) chiarisce che, per quanto non espressamente previsto in ambito societario (art. 2352 c.c.), trovano applicazione le norme generali in materia di usufrutto. In particolare, il diritto si estingue per perimento del bene e, nel caso di una società, esso si verifica dal momento della cancellazione dal registro delle imprese. Pertanto, la mera liquidazione della compagine sociale non comporta l’estinzione del diritto. Ciò premesso, gli ermellini devono stabilire se, dopo la liquidazione della società, la quota possa ancora produrre utili perché, in caso affermativo, essi spetterebbero all’usufruttuario. Ebbene, secondo la Corte, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società costituiscono un utile per la parte eccedente il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle quote e, quindi, competono all'usufruttuario. Infine, sotto il profilo tributario, il rapporto d'imposta che ha ad oggetto l’utile sorge tra l’Agenzia delle Entrate e l'usufruttuario (non già il nudo proprietario).

Sommario

Società 2024, Autori: AA.VV., Ed. IPSOA, 2024. Per ogni tipo di società affronta: costituzione, funzionamento, bilancio, strumenti finanziari, operazioni straordinarie, regime fiscale, aspetti penali.
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La vicenda

Una s.r.l. viene liquidata e il socio, ritenendo di aver diritto ad un significativo credito d’imposta (pari a circa 1 milione di euro), formula un’istanza di rimborso. Avverso il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente propone ricorso dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. Il ricorrente chiarisce come la partecipazione sociale sia oggetto di usufrutto ed egli sia il nudo proprietario. Dopo la liquidazione volontaria della s.r.l. è stato distribuito l’attivo, detratto l’importo del pagamento dei debiti. Secondo il ricorrente, l’attivo residuo spetta al socio nudo proprietario e non all’usufruttuario, quindi, il rapporto generatore del credito di imposta si instaura tra l’Agenzia delle Entrate e il nudo proprietario.

Il ricorso viene rigettato in primo e secondo grado, si giunge così in Cassazione.

Premessa: l’usufrutto di quote nelle società

L’usufrutto ha ad oggetto cose corporali inconsumabili, ma è possibile anche l’usufrutto di cose consumabili (art. 995 c. 1 c.c.), di crediti (art. 1000 c.c.), di universalità di fatto (art. 994 c.c.), di aziende (art. 2561 c.c.) e di società di capitali (art. 2352 c.c.) (C. M. BIANCA, Diritto Civile. La proprietà, 6, Milano, Giuffrè, 1999, 596)

Nell’ambito della società a responsabilità limitata, è prevista la possibilità di pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione sociale e si rinvia alle norme sulla società per azioni. In particolare, l’art. 2471-bis c.c. (sulla s.r.l.) richiama l’art. 2352 c.c. (sulla s.p.a.), fatto salvo quanto previsto dall’art. 2471 comma 3 c.c.

Secondo l’art. 2352 c.c.:

  • spetta al nudo proprietario il diritto di opzione attribuito dalle partecipazioni costituite in usufrutto;
  • nel caso di aumento gratuito del capitale sociale, l'usufrutto si estende alle azioni di nuova emissione,
  • qualora siano richiesti versamenti sulle partecipazioni costituite in usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.

L’usufruttuario può esercitare alcuni diritti che solitamente spettano al socio come il diritto di voto, i diritti amministrativi e i diritti patrimoniali. Per quanto riguarda questi ultimi, l’usufruttuario ha diritto agli utili secondo i principi generali (art. 984 c. 1 c.c.) (F. GALGANO, Diritto commerciale. Le società, Bologna, Zanichelli, 2005, 215)

Tutto ciò premesso, torniamo al decisum.

Le questioni di diritto da risolvere

Secondo il ricorrente, il residuo attivo che risulta dalla soddisfazione dei creditori sociali deve essere distribuito tra i soci e diventa una massa patrimoniale in cui non è possibile distinguere gli utili che, come abbiamo visto, spettano all’usufruttuario. Pertanto, se questa massa è indistinta e non è possibile individuare gli utili, essa spetta integralmente al nudo proprietario. La tesi propugnata dal contribuente ritiene che il residuo attivo sia il capitale da restituire al socio, infatti, non viene distribuito con una delibera assembleare ma costituisce l’ultimo atto della vita sociale. Infine, tale residuo non ha natura di dividendo e, quindi, non spetta all’usufruttuario.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza e si propone di risolvere le seguenti quaestiones iuris:

  • determinare quando cessi il diritto di usufrutto avente ad oggetto una partecipazione sociale in una s.r.l.;
  • e quali siano i diritti patrimoniali connessi alla partecipazione sociale spettanti all’usufruttuario.

Vediamo come si sono espressi i giudici di legittimità.

L’usufrutto sulla quota si estingue con la cancellazione dal registro delle imprese

Le disposizioni normative su richiamate (artt. 2471-bis e 2352 c.c.) non fanno alcun riferimento alle cause di estinzione dell’usufrutto su partecipazioni sociali, esse sono norme speciali rispetto alle norme generali previste in materia di usufrutto. Pertanto, al di fuori del limitato campo di applicazione della disciplina speciale, si applica quella generale.

Ciò premesso, dal momento che manca una norma specifica in materia di estinzione del diritto di usufrutto in ambito societario, occorre fare riferimento alla disposizione generale (art. 1014 c.c.), secondo cui il diritto si estingue:

  1. per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni;

  2. per consolidazione (ossia la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona);

  3. per il totale perimento della cosa su cui è costituito,

  4. per la morte dell'usufruttuario oppure decorsi 30 anni nel caso in cui sia stato costituito a favore di una persona giuridica (art. 979 c.c.).

Da quanto sopra esposto emerge che tra le cause di estinzione dell’usufrutto non è presente la messa in liquidazione della società. L’usufrutto si estingue nel caso in cui venga a mancare l’oggetto dell’usufrutto stesso (sub c), la liquidazione non può considerarsi come “perimento della cosa”, invece è tale solo la cancellazione della società dal registro delle imprese, perché solo così la compagine sociale si estingue.

Quindi, anche nel caso in cui l’usufrutto sulla partecipazione sociale sia stato costituito per tutta la vita del beneficiario (persona fisica), il venir meno della partecipazione sociale comporta comunque l’estinzione del diritto. Secondo gli ermellini:

  • «non vi è dubbio, d'altra parte, che la partecipazione sociale di una società a responsabilità limitata, quale bene immateriale che rappresenta la misura dei diritti e degli obblighi di un socio, non viene meno (non "perisce", per usare il termine normativo) con la liquidazione volontaria della società, bensì con la cancellazione di quest'ultima dal registro delle imprese, che ne determina l'estinzione».

Dopo la liquidazione della società la quota produce ancora utili?

Gli ermellini sottolineano come nessuna norma preveda che l’estensione dei diritti dell’usufruttuario debba essere limitata ai dividendi che siano stati distribuiti durante la “vita” della società, ossia prima della sua messa in liquidazione. I diritti dell’usufruttuario non sono limitati ai dividendi, in quanto egli fa suoi tutti i frutti civili prodotti dalla partecipazione sociale durante l’usufrutto. Una volta chiarito che il diritto si estingue con la cancellazione dal registro delle imprese, occorre stabilire se, dopo la liquidazione della società, la partecipazione sociale possa ancora produrre utili.

I giudici di legittimità offrono risposta positiva e affermano che per individuare quali siano i frutti prodotti da un bene giuridico – nel nostro caso, la partecipazione sociale – occorre far riferimento all’intero ordinamento giuridico, compreso quello tributario. In particolare, il Testo Unico dell’imposta sui redditi dispone che le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione anche concorsuale della società “costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate” (art. 47 c. 7 DPR 917/1986). Pertanto, per determinare il reddito imponibile di un socio di una società di capitali va considerata la quota di patrimonio netto a lui attribuita risultante dalla liquidazione nella misura stabilita dalla citata disposizione del TUIR. La misura così determinata costituisce un utile e, quindi, un frutto civile della partecipazione sociale che, in quanto tale, spetta all’usufruttuario della partecipazione. Inoltre, l'usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte che gravano sul reddito (art. 1008 c. 1 c.c.).

Il fatto che vi sia una distinzione tra utili netti e patrimonio netto risultante dalla liquidazione (art. 2350 c.c.) «non esclude che la differenza tra la somma spettante in caso di liquidazione e il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione della quota costituisca un "reddito", cioè un frutto civile della partecipazione sociale, con la conseguenza che, nel caso in cui tale partecipazione sociale sia costituita in usufrutto, quel reddito spetta all'usufruttuario e non al socio».

Conclusioni: il principio di diritto

Per tutte le ragioni sopra esposte, il ricorso del contribuente è rigettato e viene enunciato il seguente principio di diritto:

  • «nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società, costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all'usufruttuario, con la conseguenza che il rapporto d' imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l'amministrazione e l'usufruttuario».

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