Penale

Le cause di esclusione della colpevolezza

La nozione, il fondamento, le fattispecie tipiche e le principali differenze con le scriminanti e con le cause di esclusione della pena

Le cause di esclusione della colpevolezza, dette anche “scusanti”, sono circostanze eccezionali che, incidendo in modo considerevole sul processo di formazione e manifestazione della volontà del soggetto agente, elidono la colpevolezza rispetto alla commissione di un fatto che rimane, tuttavia, antigiuridico, ma che non può essere punito.

In altre parole, nelle scusanti l’attenzione viene rivolta al soggetto agente ed attiene all’elemento soggettivo del reato. Il presupposto che si pone alla base deve essere ravvisato nel fatto che in determinate situazioni anomale il soggetto si trova esposto ad una significativa pressione psichica che influisce sul processo motivazionale, da cui poi ha origine la condotta tipica. Si tratta, in particolar modo, di circostanze anormali in grado di condizionare l’agente impedendogli di conformare il proprio comportamento alla regola oggettiva di diligenza che sarebbe tenuto ad osservare nel caso concreto, secondo l’ordinamento giuridico.

La ratio delle scusanti deve essere ravvisata nella circostanza secondo cui, in presenza di particolari situazioni che non riguardano direttamente la condotta del soggetto agente in sé considerata, l’ordinamento riconosce l’inesigibilità di un determinato comportamento.

Le scusanti incidono, dunque, sull’elemento soggettivo del reato.

In tali ipotesi, l’agente si trova di fronte ad accadimenti in grado di ingenerare in lui una rilevante pressione psichica che influisce sul suo processo motivazionale e, conseguentemente, impedisce a questi di conformarsi al comportamento giuridicamente lecito.

Possiamo, dunque, concludere che le cause di esclusione della colpevolezza incidendo sul giudizio di rimproverabilità della condotta del soggetto agente, determinano l’inesigibilità del comportamento lecito ed elidono, perciò, l’elemento soggettivo.

Sommario

Le cause di esclusione della colpevolezza previste dal codice penale

Le principali differenze con le scriminanti e con le cause di esclusione della pena

Diritto penale e processo, Direttore scientifico: Spangher Giorgio, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di giurisprudenza, legislazione e dottrina - La Rivista segue l'evoluzione del diritto penale sostanziale e processuale.
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Le cause di esclusione della colpevolezza previste dal codice penale

L’errore inevitabile sulla legge penale

Non sussiste alcun dubbio interpretativo in ordine alla natura di causa di esclusione della colpevolezza dell’ignoranza scusabile o errore inevitabile sulla legge penale, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata data all’art. 5 c.p. per effetto della sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale.

Riferimento normativo (art. 5 c.p.): “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”.

La ratio va ravvisata nel principio ignorantia legis non excusat, in base al quale l’errore sulla legge penale, sia che si tratti di ignoranza della legge, ovvero di inesatta interpretazione della stessa, non esclude la responsabilità del soggetto.

L'ignoranza della legge penale può ritenersi inevitabilE e, pertanto, scusabile, quando l'agente sia incorso nella trasgressione nonostante che si sia attenuto correttamente, e con l'ordinaria diligenza, all'obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi posto in generale a carico di tutti i consociati.

In aggiunta a quanto sopra, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’esclusione della colpevolezza per errore di diritto derivante da ignoranza inevitabile può trovare giustificazione in un pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia ingenerato nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del precetto. Da ciò consegue che, in caso di di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo, non è possibile invocare tale scusante, in quanto, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento (Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6991).

Il caso fortuito e la forza maggiore

ll caso fortuito corrisponde a un evento assolutamente improvviso e imprevedibile; la sua prerogativa é, per l’appunto, l’ imprevedibilità.

La forza maggiore riguarda, al contrario, un evento che, sebbene astrattamente prevedibile, o anche preveduto, non possa essere impedito in alcun modo. La principale caratteristica è, dunque, l’irresistibilità.

Occorre dar conto del fatto che la loro collocazione dogmatica risulta, allo stato, controversa. In particolare, le tesi che si fronteggiano in ordine alla natura di tali istituti sono essenzialmente due:

  • secondo una parte della dottrina, essi costituiscono una causa di esclusione della colpevolezza; con particolare riferimento alla forza maggiore, si è sostenuto addirittura che questa faccia venire meno la coscienza e volontà del soggetto agente, e quindi l’imputabilità dello stesso (la c.d. suitas, ex art. 42, comma 1, c.p.);
  • altri hanno, invece, sostenuto che i predetti eventi facciano venire meno il nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall’agente e l’evento.

Il costringimento fisico

Anche il costringimento fisico ex art. 46 c.p., come la forza maggiore, elimina completamente il potere di agire del soggetto agente. Questi, difatti, ha commesso il fatto costituente reato in quanto costretto da altri, ed è autore solo “apparente” del reato. Si usa, invero, solitamente l’espressione “non agit sed agitur”, con ciò intendendo che il coartato è strumento dell’agire altrui.

Riferimento normativo (art. 46 c.p.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi”.

La figura in esame, si badi bene, deve essere tenuta nettamente distinta dal c.d. costringimento psichico previsto dall’art. 54, comma 3, c.p., che, invece, configura una causa di giustificazione.

L’errore

Da ultimo, costituisce una causa di esclusione della colpevolezza l’errore sul fatto, ex art. 47 c.p.

Come noto, il dolo richiede la conoscenza effettiva di tutti gli elementi costitutivi del fatto concretamente verificatosi, che configurano una determinata fattispecie criminosa. In altri termini, il soggetto agente prevede e vuole realizzare un fatto antigiuridico. Tale conoscenza deve sussistere nel momento in cui il soggetto agente inizi l’esecuzione della condotta tipica, senza che sia necessario che permanga per tutto il tempo della condotta. Infine, essa deve essere effettiva, e non meramente potenziale, attenendo quest’ultima, al più, al profilo della colpa.

Gli elementi del fatto che devono essere oggetto della conoscenza in esame sono, gli elementi descrittivi, ricavabili dalla realtà sensibile, cui devono affiancarsi gli elementi normativi, ricavabili da norme giuridiche o sociali.

In generale, anche il dubbio rientra nel momento rappresentativo del dolo: esso consiste nella coesistenza di giudizi contrastanti, senza che peraltro si giunga a una convinzione in un senso ovvero in un altro.

Deve, inoltre, distinguersi dal dubbio, l’errore: quest’ultimo, infatti, presuppone sempre il raggiungimento di una errata convinzione da parte del soggetto agente.

L’errore consiste, propriamente, nella falsa o inesatta rappresentazione della realtà oggettiva, naturalistica o normativa.

Conseguentemente, laddove difetti la conoscenza effettiva richiesta ai fini della sussistenza del dolo, il soggetto agente versa nel c.d. errore sul fatto, disciplinato dall’art. 47 c.p.

Riferimento normativo (art 47, c. 1, c.p.): “L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.

In primo luogo, giova rilevare che l’art. 47 c.p. riguardi il c.d. errore-motivo, ossia l’errore concernente il momento della formazione della volontà di porre in essere una data condotta, dal quale derivi una divergenza tra quanto l’agente intendeva commettere e quando concretamente realizzato da costui.

Da quest’ultimo deve distinguersi il c.d. errore-inabilità, che attiene, al contrario, alla fase esecutiva del reato. In tale ipotesi, la volontà del soggetto agente si è formata correttamente, ma nel momento esecutivo, a seguito di un errore riguardante l’uso dei mezzi impiegati, ciò che viene realizzato dal soggetto agente non corrisponde con quanto da questi avuto di mira. L’ipotesi in esame rientra, pertanto, nella disciplina del reato aberrante.

Si può avere una falsa rappresentazione della realtà oggettiva, in primo luogo, quando l’agente non si rappresenti anche uno solo degli elementi costitutivi del fatto di reato a seguito di una errata percezione della realtà sensibile: c.d. errore di fatto, ovvero, a causa dell’errata interpretazione di una norma, diversa da quella incriminatrice, da quest’ultima richiamata mediante un elemento normativo: c.d. errore di diritto.

Tale previsione si porrebbe in contrasto con il principio sancito ex art. 5 c.p., “ignorantia legis non excusat”, in quanto consentirebbe di escludere la punibilità del soggetto agente nel caso di errore di diritto (consistente, appunto, nell’errore su una legge extrapenale).

A tal uopo, la giurisprudenza di legittimità ha operato una distinzione tra:

  • norme extrapenali integratrici del precetto penale, le quali, in virtù del richiamo contenuto in quest’ultimo, concorrono nella determinazione degli elementi costitutivi del reato, assumendo la natura di norme penali: l’errore sulle norme integratrici configura, dunque, l’ipotesi ex art. 5 c.p.;
  • norme extrapenali NON integratrici del precetto penale, che non concorrono a determinare il disvalore del fatto, ma, al più, individuano dei concetti normativi in presenza dei quali la fattispecie trovi applicazione: solo con riferimento a tali tipi di norme trova applicazione la disciplina di cui all’art. 47, comma 3, c.p., con conseguente non punibilità del soggetto agente.

In questo caso, il soggetto agente agisce nella convinzione di realizzare un fatto diverso rispetto a quello sanzionato penalmente: egli conosce perfettamente il precetto penale, ma è convinto che la sua condotta non integri gli elementi costitutivi della fattispecie regolata dalla predetta norma. In tale ipotesi, poiché la volontà di costui deve ritenersi viziata, dovrà escludersi la sussistenza del dolo e questi non potrà essere punito. Si parla, a questo proposito, di errore sul fatto di diritto.

Per completare la trattazione dell’art. 47 c.p., occorre analizzare il secondo comma della norma in esame.

Riferimento normativo art. 47, co. 2, c.p..: “L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso”.

Il soggetto agente vuole realizzare una fattispecie di reato diversa rispetto a quella effettivamente realizzata.

In questo caso, l’errore ricade su un elemento specializzante della fattispecie, dal quale consegue la commissione di un reato diverso rispetto a quello avuto di mira dall’agente.

Peraltro, l’errore in esame può colpire:

  • un elemento specializzante aggravante, laddove integri un fatto più grave rispetto a quello voluto dall’agente: quest’ultimo risponderà del reato meno grave, da lui effettivamente voluto;
  • un elemento specializzante qualificante, qualora l’agente intendesse commettere un reato qualificato, ma abbia concretamente realizzato il reato base: anche in questo caso, costui sarà punito per il reato meno grave;
  • un elemento specializzante degradante, nell’ipotesi in cui, a seguito di tale errore, si configuri un reato meno grave rispetto a quello voluto dal soggetto agente.

Da ultimo, in tema di errore, occorre rilevare che quando l’errore ex art. 47 c.p. sia stato determinato dall’altrui inganno, dunque, risponderà del reato commesso non già l’autore dello stesso, bensì colui che lo abbia ingannato, determinandolo a commetterlo.

Le principali differenze con le scriminanti e con le cause di esclusione della pena

Qual è la differenza tra cause di esclusione della colpevolezza e scriminanti?

Mentre le scusanti escludono la punibilità di una condotta comunque illecita, ma posta in essere in difetto di dolo e colpa, le cause di giustificazione, oltre a escludere la punibilità del soggetto agente, determinano il venir meno dell’antigiuridicità del fatto, il quale è considerato lecito da tutti i rami dell’ordinamento giuridico.

In cosa differiscono, invece, dalle cause di esclusione della pena?

Le cause di non punibilità, collocandosi al di fuori del fatto tipico, non eliminano né l’antigiuridicità di questo, né la colpevolezza del soggetto agente, ma, in ragione di un giudizio di opportunità effettuato dal legislatore in sede di valutazione circa la politica criminale, escludono l’applicabilità della pena, nonché qualsivoglia conseguenza penale.

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